Abbiamo tutti un’idea di famiglia. Spesso è imposta dal sociale. Adulti felici, solitamente la scena è quella del pranzo o dell colazione, la madre solitamente è in piedi, i figli sono sorridenti e accondiscendenti ?. Solitamente non più di due. Un cane chiude il quadretto.

Di certo la nostra rappresentazione è guidata da ciò che la tradizione porta con sé.

Alcuni rimangono attaccati all’idea di famiglia integra  e non si spostano da lì, qualsiasi cosa succeda. Anche se quella famiglia non ha niente di integro se non l’immaginario.

Altri provano ad affrontare quella zona grigia che sta tra i desideri personali e la disapprovazione di un padre, di una madre, di un marito o di una moglie.

E lo fanno per tutta la vita.

Ma, sia chiaro, nessuno a parte noi può stabilire il modo in cui facciamo parte della nostra famiglia. Nessuno deve permettersi di giudicare.

A volte sono continui armistizi. A volte le separazioni aiutano. A volte ci sono degli addii anche tra genitori e figli.

E dovremmo cercare il nostro destino familiare con forza, non realizzare quello di altri. E provare a ragionare su quella rappresentazione. Cercare di capire se davvero dentro a quella famiglia io ci sto bene o ci sono stata bene.

Perché, potrebbe essere che non abbiamo avuto i genitori  meravigliosi del quadretto famigliare o che i figli, a volte, non ci piacciano o che la vita ci abbia messo di fronte ad una famiglia differente dall’immaginario collettivo.

Abbiamo diritto a cercare ciò che ci fa stare bene. Decidere di allontanarci o di stare dentro. Al di là dei ruoli che ci sono stati proposti, ciò che ci viene chiesto. E ciò che, spesso, ci auto imponiamo.

È quel destino a cui dobbiamo protendere. Il nostro.

E ricercare con coraggio gli intrecci tra quello che altri si aspettano da noi e ciò che siamo veramente.

Tra il nostro passato e il nostro presente.

E se non siamo ciò che gli altri si aspettano, continuare a guardare lontano, fuori dalla finestra, e tenere la testa alta.

Perchè la sfida a riconciliarci con le nostre famiglie di origine o quelle in cui siamo, non sarà di un giorno, un mese, un anno. Ma di una vita intera.

E, a volte, non ci basterà nemmeno quella.

Siate magnanimi con voi stessi. Si fa quello che si può, e spesso si sbaglia.

Ma siamo un caos cosmico da cui tutto parte. E le nostre famiglie hanno in sè qualcosa di così imperfetto da risultare meraviglioso, anche quando si spezzano.

Non dimentichiamoci mai che le forze che provocano la frammentazione o la rottura della famiglia, sono le stesse che ci costringono a rimettere insieme i pezzi della nostra esistenza.

E sono quelle che ci salvano. A volte, proprio da quella rappresentazione edulcorata che ci vuole in un determinato posto e in un determinato ruolo.

Così, possiamo essere delle figlie che non sempre piacciono e delle madri e delle compagne che non sempre piacciono. Pazienza.

Possiamo scegliere la verità oppure continuare a essere la rappresentazione di noi stessi.

Possiamo sovvertire quel quadretto e comporne uno nuovo in cui noi siamo le artefici del nostro destino familiare.

Possiamo farlo senza sentirci in colpa. E sapete perché? Perché proviamo a essere sincere e a narrare una storia possibile, in cui nessuno ci metta becco, e chi se ne frega se è diversa.

È nostra.

Penny

 

 

 

14 comments on “La famiglia. La rappresentazione sociale che ci ingabbia.”

  1. Ho sempre pensato che la mia famiglia non fosse come le altre. Non ricordo mai di aver abbracciato ne mio padre ne mia madre ne mio fratello. Al massimo i baci in guancia per gli auguri. Mio padre richiedeva abbracci e baci ma ho sempre pensato che fosse una cosa di facciata. Ricordo che lo faceva davanti agli amici come per far vedere agli altri che ci volevamo bene. Mio padre e mio fratello litigano da quando li conosco . A pranzo litigano e la sera come nulla fosse. Ho sempre pensato che non si volessero bene veramente finché un giorno ho visto la disperazione negli occhi di mio padre quando mio fratello si era perso in mare durante una tempesta. Sono state ore infinite quasi 20 ore prina di rivederlo tornare a nuoto. Mio padre era agitato faceva avanti e indietro e chiamava la guardia costiera. Io ero piccolo e non mi rendevo bene conto. In quel momento ho capito che mio padre voleva bene a mio fratello e mi sono anche sentito un idiota per aver pensato il contrario.

    • È che loro, i nostri genitori, sanno amare in un modo che magari, per noi, non è quello giusto. Ma conoscono quello, e sono imperfetti. Sono nostro padre e nostra madre. Questo è. Un caro saluto Penny
      Ps e non sei stato un idota a pensarlo…

  2. La mia famiglia è stata mio padre, con mia madre ho sempre avuto un rapporto conflittuale, sentivo che amava più sua sorella che me. Poi quando ci ha lasciati, per anni, ho convissuto con un indicibile senso di colpa…non so ancora spiegarmelo. Quello di buono che c’è in me lo devo al mio papà, alla sua grande umanità, al suo essere madre e padre, medico tra i poveri e per i poveri.
    Il senso di famiglia me lo ha insegnato lui e ho cercato di essere con i miei figli come lui è stato con me, una roccia e un esempio di costante di sani principi e tanti abbracci e baci e conferme di amore… Grazie papà, ovunque tu sia…

  3. Io penso che la famiglia sia la cosa più bella che la vita ci abbia donato: come hai detto tu penny esistono famiglie nelle quali si litiga, ma se si tenesse sempre a mente che siamo legati dallo stesso sangue, dallo stesso nome, forse si riuscirebbe a mettere da parte l’orgoglio in certe situazioni e pensare di più a questo valore che con il tempo sta sparendo !

  4. Temo che il legame di sangue non basti…ci vorrebbe anche un legame d’anima, e quando manca quello si è costretti a trovare una famiglia in se stessi e nelle cose che ci aiutano ad essere tali. Questo ovviamente senza togliere amore alla famiglia in cui ci siamo trovati a vivere.

    Dicono che si arriva, si nasce, in una certa famiglia per imparare determinate lezioni: per quel che mi riguarda io non ho capito ancora bene quali, se non che non desideravo essere così, talmente eravamo e ancora siamo diversi, per non dire opposti. Può darsi che l’amore sia una cosa e la comprensione un’altra…forse. La diversità d’anima è una lezione, sicuramente, ma quando la si apprende (la si riconosce) da piccoli è parecchio dura e molto spesso finisci dietro alla lavagna della vita.
    Ti trovi a parlare una lingua completamente diversa, ti sforzi di comprendere quella altrui ma crescendo ti rendi conto che nessuno di quelli che ami è disposto ad imparare la tua. E non è confortante né confortevole. Allora ti limiti a dare quello che ti chiedono senza aspettarti nulla di quel poco che vorresti , un abbraccio, un sorriso, un incoraggiamento, una parola buona… cose che sono sempre state l’equivalente del chiedere la luna. Forse la lezione sta nello smettere di chiedere l’elemosina.

    PS. ero iscritta al tuo blog ma, misteri di WordPress, ho scoperto di non esserlo più: ecco perché non mi arrivavano più i tuoi post via mail. 🙁 Ho rimediato ora. Un abbraccio, mia concittadina. 🙂

    • Sono contenta che mi tu mi abbia ritrovato. A volte dobbiamo farci famiglia di noi stessi. Secondo me, alla fine, dovremmo accettare il debito simbolico che ci lega alla famiglia, ma nello stesso tempo superarlo.
      Quando penso a mia madre e mio padre, avrei voluto essere amata diversamente. Avrei voluto, ma loro hanno fatto quello di cui erano capaci. Mi hanno amato? Credo di sì. Forse è lì che dovremmo arrivare o forse riappacificarci con la nostra famiglia è un lavoro che dura tutta una vita. Grazie di stare con me. Penny

  5. Sono approdata qui per caso e penso che tornerò a rileggerti. Casa, o famiglia, sono anche le parole che suonano vicine, che hanno un senso, le storie vere, la lotta quotidiana. Grazie Penny.

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