Accadono fatti che mi costringono a fermarmi. Più di altri. Per cui è necessario raccontare la verità.

Torno da tre giorni di gita con i miei alunni ad Aosta e dintorni.

Classe quinta. Giorni di passaggio, in cui mi godo la loro umanità in divenire, li annuso ancora un po’. Li stringo. Li guardo. Poi voleranno altrove, nel loro futuro, oltre me. Spero di aver lasciato tracce, dentro al mio cuore rimarranno per sempre.

La vita.

Torno a casa. Le mie girls. Noi tre. Poi accendo la televisione e guardo il telegiornale.

Un’altra madre. Un black out. Un bimbo di diciotto mesi che non c’è più.

La morte.

Non posso immaginare il dolore, supera il possibile. E so che in alcuni attimi della mia vita, per quanto sconcertante possa essere, avrei potuto essere io quella madre che dimentica il figlio in auto.

A volte ho dei buchi. Così abituata a fare le cose che non ricordo se le ho fatte oppure no. Mi devo concentrare e non sono sicura se confondo quell’azione con il giorno prima o quello prima ancora.

Una madre lascia il suo bambino in macchina. E non perché non lo ami, anzi, se ne prende cura come di tutto il resto, ma perché, noi donne, il più delle volte, chiediamo così tanto a noi stesse che procediamo per automatismi.

E succede l’irreparabile.

Dovremmo smetterla di pretendere così tanto. Dovremmo rallentare, accettare di fallire, di non arrivare, di non piacere.

Di non essere mamme, mogli, donne in corsa.

Dovremmo venire a patti con quella maledetta perfezione che ci rovina la vita. Concederci. Sollevarci.

Invece non facciamo che aggiungere per dare agli altri l’immagine che ci aspettiamo da noi stesse.

Ammassiamo azioni, giorni e sentimenti. Come potessimo contenere tutto. Pozzi senza fondo.

Cantine.

Una pausa breve di maternità per la paura di perdere il treno, di rimanere indietro. Il fisico che cambia e deve ritornare al suo posto. Noi al meglio.

Teniamo dentro e aggiungiamo. Una cosa oggi, l’altra domani. “Ma sì, ce la facciamo!”, diciamo a noi stesse.

Ho sentito dire che la soluzione è un congegno da inserire in macchina che ci avvisa di quel figlio (che tanto amiamo); certo, potrebbe aiutare. Ma è da noi che dobbiamo ricominciare. Resettarci e raccontare ai nostri figli, maschi e femmine, che non si può fare tutto.

Alle femmine di cedere il passo, ai maschi di prenderlo quel passo. Perché una maternità può sconvolgere e può mettere in discussione equilibri. Si può chiedere aiuto, anzi bisogna farlo di piú.

E poi non permettere ad altre madri, amiche, ostetriche…di dirci:” Ma insomma, un figlio lo hanno cresciuto tutti!”.

Dare degli ALT, degli Stop, prima che il Black out ci raggiunga e si faccia tutto buio.

Perché dalla morte non si può tornare indietro.

Dobbiamo cambiare il nostro pensiero, quell’immagine della mamma Felice intorno a ciambelle e marmellate fatte in casa, della donna in carriera, degli spot pubblicitari con fisici asciutti. Pretendere aiuto, sostegno dai patner e saperci confrontare con il dolore di non farcela, di essere mancanti.

Dire basta. Quella donna che cucina, cresce marmocchi, fa la spesa, organizza, lavora, si fa bella senza pagare lo scotto non esiste. Non qui, non ora in questa società.

Modificare la cultura delle madri come noi, e dei nostri figli che saranno madri e padri.

Raccontare quando non ce la facciamo, i boschi bui che attraversiamo, le paure. Dire la verità. Prepararli.

Essere madre è un’esperienza unica ma contiene in sé tornanti e salite. E alcune di quelle salite, se non sappiamo fermarci, possono finire con un precipizio.

Dobbiamo mettercela tutta per cambiare quella cultura, e sostenerci nei giorni che verranno, concedendoci la possibilità di essere contenitori buoni ma limitati.

Chiudere i rubinetti e non avere paura della nostra immagine fallibile. Quella vera, che dovremmo amare. Che rallenta, si prende tempo, spazio e ci permette di non dire: è troppo tardi.

Perché non succeda più che una madre perda il suo bambino. Una madre lo uccida, che è incomprensibile persino scriverlo. Una madre che ama. Proprio come tutte noi.

Vostra Penny

 

 

26 comments on “Il Black out delle donne. Quando è troppo tardi.”

  1. Articolo molto bello e profondo. Consentimi una piccola critica: scrivi sempre che sono le mamme che fanno tutto, che sono le eroine dei nostri giorni. Beh, non è proprio così, io per miei figli, da padre separato, faccio tutto e anche di più. Pago alimenti importanti, sacrifico molta mia vita privata e ci sono sempre per loro facendo incastrare riunioni con il loro sport, assemblee con il colloquio con i professori, lavoro e affetti e affronto tanti problemi senza lamentarmi mai. E so di tanti papà che sono anche meglio di me….Ogni tanto un pensiero anche a loro sarebbe gradito. Con stima

    • Ciao, di fatto hai ragione. Porto la mia storia e mi rivolgo alle donne, perché sono loro, per lo più, che mi scrivono. Peró non é mia intenzione sminuire il “padre”. Conosco uomini amici che si fanno un mazzo tanto. Che amano i loro figli da farsi in quattro. E mi dispiace se dai miei scritti ne emerge una svalutazione. Ti assicuro che non é mia intenzione generalizzare. Purtroppo la mia esperienza é di dolore e so che le mie ragazze soffriranno se non riusciranno a riappacificarsi con il loro padre, ma conosco il valore di avere un uomo accanto e che sia un buon padre. So che siete in tanti. Quindi leggi tra le righe se hai voglia di continuare a seguirmi…grazie per aver scritto. Penny

  2. Grazie come sempre letture fini e profonde della realtà . Aggiungo che tutto questo è possibile affidandosi alle relazioni autentiche che solo noi donne sappiamo costruire non solo in famiglia ma soprattutto con le amiche . Una rete elastica ma forte, fortissima quella che ci lega tra donne che si vogliono bene.
    Ringraziamole ogni tanto queste preziosissime amiche !
    L

    • Vero,fare rete! Apprezzare le persone che ci stanno accanto,e accettare i propri limiti. Siamo esseri umani,imperfetti e meravigliosi!

      • Cara Caterina…se tutti la pensassero come te saremmo a posto…condivido in pieno. Grata Penny

    • Cara Luisa, hai ragione. Relazioni autentiche. Difficili da costruire ma preziose e necessarie. Relazioni in cui poter essere senza la smania di apparire diverse da ció che siamo. Capaci di essere complici in questo percorso arduo che é la vita. L’amicizia solleva.
      Grazie davvero. Penny

  3. D’accordo al 100%.
    A noi e’ successa una cosa che poteva finire molto male con Allison quando aveva solo 6 settimane. All’epoca vivevamo in UK. Un giorno a meta’ febbraio usciamo a fare una passeggiata. Giornata fredda invernale, di quelle che a camminare ti vengono le guance rosse e l’aria fredda frizzantina che respiri ti da’ una scossa di felicita’. Ad Ely, dove abitavamo, passa un fiume, piccolo e molto tranquillo. Siamo lungo il fiume. Ci fermiamo a guardare una cosa e per un attimo giriamo le spalle al passeggino. Sentiamo un urlo, mio marito si gira, lo sento imprecare e parte di corsa. “Cosa succede?” mi chiedo. Mi giro e vedo solo le ruote posteriori del passeggino che stanno per abbandonare il marciapiede e precipitare nel fiume e mio marito che si tuffa a ruota dietro al passeggino. Io paralizzata per forse un secondo, che mi e’ sembrato un’eternita’. Ricordo che in testa urlavo il nome di mia figlia e poi ho pensato: “Oddio sono anche vedova!” Poi la corsa per aiutare Dirk. Lui completamente sotto acqua che teneva sollevato il passeggino sopra il livello del fiume ma non riusciva a sollevarlo abbastanza in modo che io potessi in qualche modo afferrarlo. Poi e’ riuscito a staccare l’ovetto con dentro Allison e a passarmelo. Sono poi arrivate di corsa 3 persone tra cui la donna che aveva urlato vedendo il passeggino cadere nel fiume. I due giovanotti piu’ o meno della nostra eta’ hanno aiutato Dirk recuperando prima il passeggino e poi aiutando anche lui, che oltre ad essere semicongelato, indossava una giacca molto pesante che bagnata fradicia gli impediva di venire fuori dall’acqua in maniera agile.
    Lo stava spingendo Dirk il passeggino e si e’ dimenticato di mettere il freno. Oltrettutto e’ successo nei soli 20 metri del lungo fiume nei quali non c’e’ il parapetto.
    E’ successo a lui, ma potevo essere io. Per fortuna lui e’ un ottimo nuotatore. Allison era praticamente asciutta grazie al passeggino che io definisco un “camion” che l’ha protetta. Per i successivi 10 giorni lui era un cane bastonato. Io non gli ho detto nulla se non “Ci e’ andata bene e per fortuna tu nuoti benissimo. Che serva da lezione a tutti due”. Non capisco chi infierisce contro queste persone colpite da tali disgrazie. Se penso a come ci siamo sentiti noi a lungo senza aver subito il danno irreparabile, non oso pensare alla disperazione di questa povera donna. Che poi quando succede alle mamme c’e’ un accanimento 3 volte maggiore di quando succede ai papa’ da parte dei saccenti. Persone senza un briciolo di umanita’.

    • Ricordo un attraversamento. Era estate. Le macchine sfrecciavano nei due sensi. La mia girl piccola che mi scappa dalle mani. Tiro un urlo, allora lei istintivamente torna indietro di qualche passo e se non l’avesse fatto ora non ci sarebbe piú. Ricordo che non ho dormito per giorni. Basta un attimo per cambiarti la vita e non poter piú tornare indietro… Ti mando un bacio. Penny

  4. Trovare nel coro di tutte le voci del “ma a me non potrebbe mai succedere” qusto articolo mi ha fatto bene. Grazie

  5. Il fatto è che la stessa società che ti impone ogni giorno ritmi più frenetici…. Sulle donne poi non ne parliamo. Ed ecco i risultati… Purtroppo.

    • É questo che dovremmo fare. Fermarci ogni tanto. Rallentare. Andare controcorrente. Forse le cose cambierebbero, in fondo, la societá é fatta di uomini. Grazie mille Penny

  6. Quando esci di casa, sali in macchina per andare a lavorare o a fare la spesa, arrivi a metà strada e torni indietro perché non ricordi se hai chiuso la casa oggi (o se i ricordi che hai erano quelli di ieri, ieri l’altro o lunedi?) non è perché siamo stressate o abbiamo troppe cose da fare… ma sono gesti abitudinari che si fanno senza riflettere. Si tratta di amnesie dovute al repetere sempre gli stessi gesti, tutti i giorni. È il cervello che non ti permette di riflettere su cose che ripeti sempre, nello stesso modo. Non diamo sempre la colpa allo stress. Quando è capitato a me, io non ero stressata. Avevo un angelo di bambina che dormiva sempre. Non lavoravo e avevo persino una donna delle pulizie. Capita. Non è sempre colpa di stress, certe volte è colpa nostra. Una colpa che potrebbe rovinarci la vita…

    • Forse hai ragione, capire come funzioniamo non é facile. Non credo sia solo una questione di stanchezza fisica ma anche emotiva. Ci sono persone piú capaci di reggere, altre meno. Credo che si inceppi qualcosa. Hai ragione tu: capita. E perché non succeda piú credo sia necessario continuare a farsi delle domande. Grazie del tuo spunto Penny

  7. Questo strano buonismo tutto italico (e sottolineo STRANO) ci ucciderà definitivamente. Non diciamo a me non succederà mai, non giudichiamo…ma SANTO DIO allora analiziamo se c’è la facciamo. Una maestra ha duemila responsabilità dietro ai suoi cuccioli, karincauz racconta un episodio che davvero può succedere a tutti e dove la distrazione (vogliamo chiamarla così…) dura un secondo e infatti non diventa mortale. Ma qui parliamo di una giovane donna con un solo piccolo che fa come mestiere il segretario comunale in un comune con meno di 1000 persone. Stress???? Allora si indaghi dove. Sicuro che in casa andava tutto bene? Se, giustamente, non siamo Dio per giudicare e condannare, non diventiamo Dio per perdonare. Siamo una società e come tale dovremmo andare più in fondo nelle cose. E secondo me non andare in profondità quando si dice a me non capiterebbe mai, ma nemmeno quando si dice non possiamo giudicare….

    • Ciao Alberto, qui porto il mio vissuto. Il mio “potrei essere io quella donna”.
      Non credo che lo stress, i vuoti, si misurino in numeri o azioni. Credo che il sovraccarico sia un sovraccarico emotivo.
      Sinceramente? Non mi interessa dare colpe. Mi interessa riflettere. Ad esempio, quando aspetti un figlio si preoccupano tutti di spiegarti come affrontare il parto, nessuno ti racconta cosa succede dopo. Il buco nero in cui si puó sprofondare. Ti assicuro che si sta male eppure mio marito mi aiutava, avevo mia madre, ma qualcosa dentro di me si era rotto.
      Sono buonista se dico che puó capitare a molte donne?
      Non lo so. Forse. Credo che parlarne, al di lá di tutto, faccia bene.
      Non avendo veritá in tasca, poi, é possibile che io sbagli.
      Grazie per il tuo contributo Penny

  8. È sarebbe anche ora che i compagni o mariti, si diano da fare molto di più!!!!! Aiutare in tutto e per tutto!!!!
    Dai su, .. sono troppi sfaticati! Sempre tutto addosso alle mamme, … sono arrabbiata.

    • E fai bene ad esserlo…ma non dipende anchevun po’ da noi? Non dovremmo essere le prime a demandare di piú e cambiare le cose? Invece, a volte, ci sostituiamo perché é piú facile.
      Grazie per esserti fermata qui. Penny

  9. Tutto verissimo. Il problema è che spesso sono le persone che più abbiamo vicino e che dovrebbero sostenerci, a farci sentire delle fallite se non arriviamo ovunque e questo ci condiziona. Così tiriamo oltre ogni limite anche se non ce la facciamo più. Finisce o che ci si ammala, come è capitato a me, o che appunto succede l’irreparabile. Si pretende troppo dalle donne oggi. Che facciamo sia gli uomini che le donne con ritmi e carichi sovrumani. È impossibile.

    • Hai ragione in pieno. Per questo dobbiamo parlarci e cogliere ogni occasione per ribadire che possiamo non farcela. A costo di non piacere. Dobbiamo imparare a reggerci il giudizio anche di chi ci sta vicino. Abituare gli altri a un atteggiamento diverso, ma per farlo dobbiamo dare risposte diverse. Un po’dipende da noi, non credi? Forse ammalarsi è in un certo senso una salvezza.
      Grazie di aver detto la tua…Ti abbraccio tanto. Penny

  10. Purtroppo l’irreparabile può accadere a chiunque in qualunque momento. Specialmente in una società frettolosa come la nostra. Non e’ giusto giudicare nessuno ed emettere sentenze. Speriamo che anche a livello tecnico e legislativo arrivi la giusta risposta. Un abbraccio! 😉

    • Ma come la vedi che l’hanno insultata? Io mi meraviglio degli uomini e delle donne che siamo diventate…terribile. Penny

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