Buenos Aires, 3 giugno 2017.
Una bambina scende in piazza con un cartellone in mano. La scritta è colorata e chiara:

“Non voglio essere una principessa ma una rivoluzionaria”.

Sa cosa vuole. Più di noi.

Provincia di Arezzo, 9 giugno.

Insulti sul Web, oscurata la pagina facebook di Ilaria, la mamma che ha lasciato la sua piccola in auto. Insulti da uomini e donne. Madri e padri.

Credo dovremmo imparare ad essere rivoluzionarie. Qui in Italia a casa nostra.

Non si tratta più di scendere in piazza nude per affermare la nostra libertà sessuale. Ma di cambiare un sistema.
Di usare altre parole per descriverci.
Di sovvertire il non detto.
Di dare un calcio al ruolo che ci hanno assegnato dall’alba dei tempi.

Una rivoluzione contro la violenza. Quella sottile o espressa. Verbale e fisica.
Di accettazione e talvolta sottomissione. Che ci vede troppe volte morte per mano di un uomo. Di un pensiero. Di piccoli azioni quotidiane che ci incastrano dentro a pregiudizi e ruoli.

Assoggettate a una cultura ancora troppo arcaica. Che un po’ sogniamo quando siamo piccole e raccontiamo con orgoglio di generazione in generazione.

Non esistono più le donne di una volta“, sentiamo dire. Ancora oggi, adesso. Sul Web. “Se fossero esistite”, scrive qualcuno, “quella bambina non sarebbe morta“.

Sono indignata, voglio essere indignata. Dare il peso giusto alle parole che sono insulti al pensiero.

Per fortuna ci sono le figlie di domani, da qualche parte, nel mondo che ci chiedono di non essere più principesse ma rivoluzionarie. Di dare una nuova possibilità al futuro.

Eppure continuiamo a metter loro in mano bambole e diciamo:

Prenditi cura. Cambia pannolini e culla”.

Non ci sarebbe nulla di male se a farlo fossero anche i maschi. Magari i nostri. A giocare con i pentolini invece che sguainare la spada.

E ci gongoliamo se li vediamo agitati e turbolenti al punto giusto. Ci scandalizziamo se ci chiedono di usare le Barbie e regaliamo subito pistole e armi giocattolo. “Sconfiggi, attacca, vinci” incitiamo con orgoglio.

Vorrei fare la rivoluzionaria. Da grande e sognarlo. Leggerlo nelle favole alle mie figlie.
Usare eroine letterarie che ci aprano la mente, e le capacità. Quelle che abbiamo, e ci chiedono di fermare in nome della quiete. Delle buone maniere. Dell’essere seconde.

Vorrei che ci immaginassimo senza vestito rosa con i brillantini e corona in testa.

Magari a testa in giú, gambe all’aria. Chi se ne frega.
Dentro a destini scelti per noi, da noi. Che puntino in alto.

Desiderose di provare piacere. Perché no!

Finché ci proponiamo come madri e donne a tutto tondo con le mani in pasta, dentro a matrimoni esclusivamente felici, le nostre ragazze si aspetteranno questo, e i ragazzi lo chiederanno.

E poi, lasciatemelo dire, dovremmo non prostrarci elemosinando un amore, nemmeno un cavaliere. Ma cercare relazioni buone. E raccontare che potranno non funzionare.
Che possiamo scegliere di rimanere da sole.
Di non avere figli. Che ce la faremo, comunque sia.

Non ci deve bastare la benevolenza maschile. Né pensare che le cose ci sono concesse o permesse.

“Ti faccio il letto, ti ho messo a posto”.

“Ti tratto come una principessa”.

Impariamo a diventare rivoluzionarie. Come le nostre figlie, per le nostre figlie.

Cambiamo parole e pensieri, che siano strumenti d’azione.

La strada è ancora lunga, ma se nel mondo, da qualche parte, c’è una voce di bambina che ci ricorda chi dovremmo essere, allora c’è speranza.

Che Ilaria non venga condannata, che delle donne non muoiano perché considerate proprietà di un uomo, che l’amore sia sincero e lo scambio alla pari.

Che ci sia il posto giusto per noi. Un posto che dovrebbe essere lì dall’alba dei tempi. Non per forza in una cucina, con un bambino in braccio, un senso di colpa sulle spalle se aspiriamo a qualcosa di più.

Un posto che sappia di rivoluzione più che di confetti. Contro i giorni scontati in ruoli scontati.

C’era una volta una bambina che voleva fare la rivoluzionaria e cambiò il mondo. La sua amica voleva diventare principessa e sposò il principe.

Dipende, diceva una canzone. Tutto dipende. Da cosa desideriamo per noi stesse.

Io voglio di più. Una vita di senso. Per me e per le mie figlie.

A voi la scelta.

Penny

 

 

4 comments on “Il bene delle donne. Da principesse a rivoluzionarie.”

  1. Se posso permettermi… ma puoi anche bannarmi, visto che potrei starmene buono e zitto, per questo post. Ho visto recentemente, buon ultimo, “Quattro mesi tre settimane due giorni” di Cristian Mungiu (film terribile che comunque consiglio a chi non l’avesse visto, soprattutto a quelli del mio genere!) e da uomo/maschio sono stato malissimo, e non mi sono ancora ripreso. Ci si crede migliori, forse più illuminati di altri, ma millenni di maschilismo non ce li togliamo solo con uno scarto intellettuale. Sì, mi vergogno di essere quello che sono.

    • Credo che non si possa dividere in categorie nette. Abbiamo dei retaggi culturali che vanno modificati e la strada è ancora lunga. Solo se ci sforziamo, uomini e donne, di capire il punto di vista dell’altro, è possibile riuscirci. Lo sai che ho fiducia. Buona giornata Felice. Il tuo è un bel nome. Penny

  2. Effettivamente la vita ce la costruiamo noi, con le nostre scelte. Noi maschi abbiamo le nostre colpe (e non dobbiamo in alcun modo negarle). Pero’ effettivamente se ognuno di noi permette agli altri di influenzare la propria vita, non ne saremo mai padroni. Grazie per la tua costante ispirazione! 😉 Un abbraccio.

    • Ecco, hai detto giusto. Non siamo onnipotenti, ma ognuno è un po’ artefice del proprio destino. Scegliamo anche se crediamo di non farlo. Essere consapevoli è molto importante, almeno di quello che possiamo su di noi. Un grande abbraccio Claudio.

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