Oggi chissá perché mi venivano in mente tutte le volte in cui mi sono sentita brutta. Forse perché ho incontrato una mia ex compagna delle superiori fighissima. Di quelle che spopolavano. Comunque sentirsi brutta vuol dire tanto altro. Non piacersi, ad esempio. Avere una certa idea di sé e portarsela dietro.

Nella vita mi sono sentita brutta piú volte di quelle in cui mi sono sentita bella. Questo é poco ma sicuro. Infanzia e l’adolescenza hanno fatto la loro parte. Una parte che é stato un macigno.

Quando siamo piccoli ci sono le belle bellissime e le altre. Come me. Quelle che sono troppo alte (le basse solitamente non hanno problemi, ai ragazzi piacciono perché si possono proteggere). O troppe tette. O niente proprio. Ci sono i nomi: latteria, tavola, cicciabomba, cofano e cosí via.

Insomma si cresce stando da una parte certa della barricata, pensando che sará sempre cosí. Le belle e le altre.

Poi un giorno si rincontrano quelle che erano belle bellissime a cui avremmo voluto assomigliare. E sono diverse. Ci assomigliano. O noi assomigliamo a loro. E i belli bellissimi senza capelli, con la pancetta e i lineamenti aggraziati finiti dentro alle mutande. E non c’é piú una linea di demarcazione per lo meno fuori. 

Quella dentro é cosí radicata in noi che quei nomignoli dati alle nostre tette fanno parte dei ricordi. E allora a mia figlia continuo a dire che é bella, non quella bellezza bellissima oggettiva che piace a tutti. Quella da scoprire. E se qualcuno s’innamorerá di lei lo fará indipendentemente dal suo aspetto.

Che nella vita prima o poi i conti tornano, anche quelli che abbiamo pagato nell’infanzia. Che belli si nasce ma non é detto che lo si resti e che da grandi conta altro. Per fortuna.

Che se avessi dei poteri tornerei indietro, ma non per riscrivere la mia storia, solo il mio pensiero. Quello che ha determinato la me di oggi. Quella che fa fatica a volersi bene. Perché il nostro pensiero, a volte, sembra proprio che abbia voglia di disturbare. E ci domina. Il mio é un ronzio di mosche.

Siamo come un palazzo, dice qualcuno. Nell’attico il super io (per quanto mi riguarda il mio ha espatriato) e nelle cantine gli istinti ( quelli invece la fanno da padrone). Credo lo chiamino es, ma non ne sono sicura.

A volte tutto si mischia ed é un gran casino. A volte uno prevale sull’altro ed é un gran casino lo stesso.

Io so che il mio palazzo é crollato piú volte e piú volte ho dovuto mettere mano alle macerie e ricostruire. E ogni volta mi chiedevo se ce l’avrei fatta a rimettere in sesto almeno un piano.

Poi succede. Il palazzo sta in piedi in qualche modo. Io dentro piú consapevoIe di prima. Che se ricade di nuovo devo solo rimboccarmi le maniche. I belli diventano brutti ( il che un po’ mi fa anche godere) e quelli normali possono rimanere cosí o diventare belli. Il che é una speranza.

E di speranze nella vita ne abbiamo bisogno. Sapere di poter ricominciare. Un mattone oggi e uno domani. E il palazzo é di nuovo in piedi e chi se ne frega se non é bello agli occhi degli altri. Importano solo due cose: che sia nostro e che ci stiamo comodi.

A volte la luce si spegne, ma noi abbiamo imparato a camminare al buio, anzi, dal buio sappiamo sollevarci. E tutto ricomincia. Perché é una fatica inutile fermare le cose e pure i crolli. Che fanno bene, anche se sembra strano.

Immaginatelo il vostro palazzo. Chissá com’é. Una casa di campagna, un grattacielo, un condominio. Immaginarlo ci aiuta a definirlo. Perché, a volte, manco sappiamo chi siamo visto che fino a qui ce lo hanno detto gli altri. Marito. Suocera. Mamma. Amici.

Qualcuno potrebbe voler essere una villetta a schiera invece scopre di essere un appartamento in centro.

Chissá se sta crollando il vostro palazzo, é crollato o in costruzione.

Comunque sia, che sia vostro. Scelto da voi. Non da altri. Come é nostro il seno, il fondoschiena, la pancia. E nessuno ha il diritto di dirci come deve essere.

Come é nostro il potere di cambiare le cose o lasciare che siano, perché ci va bene cosí.

Vorrei ma non posso é un alibi.

Vorrei ma non ce la faccio é piú probabile, ed é giá importante dirselo.

Ecco. Mi sono dilungata. Nel mio palazzo non c’é l’ascensore e tutto é complicato. Ma dopo i crolli sto meglio.

Quindi buon fine settimana a voi e ai vostri palazzi. Che a me sembrano meravigliosi. Iniziate un po’ a pensarlo anche voi. Che il pensiero opera azioni e le azioni diventano vita in movimento.

Intanto i terremoti emotivi non si possono arrestare e minano spesso le fondamenta quindi, tanto vale non farsi spaventare,  ma pensare che per ogni fine c’é sempre un nuovo inizio. Sempre.

Non dimenticatelo mai. 

Vi penso. Con affetto Penny

2 comments on “Senza crolli non si puó ricostruire.”

  1. Cambiare è vivere, anche se ne abbiamo una gran paura. E se “ogni scelta è una rinuncia”, è anche una grande opportunità. E’ sempre una questione di punti di vista. Basta cambiarli, cambiando i pensieri e il nostro dialogo interiore. Grazie Penny!

    • Giusto giustissimo. Invece, chissà perché tendiamo a conservare senza nemmeno provare a capire/capirci. Grazie Madis

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