L’altro ieri sono andata a prendere la girl piccola in campagna. Era la mia campagna di bambina. Quella dei giochi in giro per il paese. Un paese di pietra senza macchine. Di guardie e ladri. Del primo bacio. Di mia nonna. Delle nottate all’aperto.

Ti sono mancata? Ho chiesto a questa mia figlia così schiva e silenziosa, a volte da far paura.

Per niente, mi risponde lei. Ma si fa avvolgere da un abbraccio lungo.

È grande penso. Dentro di me ci sta ancora per un pelo. E me la sniffo, un attimo. Come se potessi trattenere quel bene. E fermarlo lì.

É stata dieci giorni con mia madre, lei che si stacca malvolentieri da sempre. Da piccola voleva essere accompagnata all’asilo solo da me. Io che sono una che non trattiene.  

Ricordo che una volta ho chiesto a  mia sorella se la portava. Mai più, mi ha detto dopo aver assistito alle sue scenate. Uno strazio. 

Quindi sono contenta, che sia stata lì, con mia madre.

È tutto pronto ma abbiamo un gatto pazzo che sparisce ogni volta che lo portiamo in campagna. Così ci mettiamo a cercare il gatto. Golia. Un gatto nero selvatico come pochi, preso quando mi stavo separando, per le bambine. Ingestibile. Mollato a mia madre (santa) che ha un terrazzo sui tetti. Lo scorso anno, lo avevamo dato per morto, è stato via 20 giorni e poi miracolosamente ritornato.

Mia madre e mia sorella cercano di acchiapparlo perchè dopo un mese si torna a Genova. Lo aspettano sulle scalette di una casa diroccata con la coperta sulle spalle, perchè lì fa un freddo cane. Lo chiamiamo ma niente. Lui si fa attendere. Ci vuole silenzio, tu vai, mi dicono. Io vado.

E mi dispiace un po’ lasciarle lì.

Quando scendiamo verso Genova si sta facendo buio. Il bosco. Le curve. E io ricordo quei momenti di me bambina, nel retro di una Renault 4 rossa che adoravo. Quella sensazione dell’estate che stava finendo e io non ero più la stessa. Come una perdita. Ricordo mio padre che canticchiava e guidava come un matto giù per quelle curve e la macchina piena di valigie. Sopra. Sotto. In mezzo.

E pensavo già al ritorno. All’estate successiva. A come far scorrere il tempo veloce per essere di nuovo lì, dentro a quella libertà. E non c’erano i telefoni. Ma la promessa delle lettere e di ritrovarsi. Sempre gli stessi. A volersi bene.

Ora i bambini vanno all’estero. Fanno lunghi viaggi. Vedono posti. Ed è bellissimo.

Ma quella sensazione di poter stare tutto il giorno a gironzolare, tornare solo per pranzo e poi scappare di nuovo, fino a rimanere senza fiato, è impagabile. Un panino al prosciutto per merenda, il latte appena munto. La vecchina della casa stregata. C’era una volta una gatta, cantata con una chitarra alla fontana. Sono nella mia memoria doni dell’infanzia.

E mi chiedo se la mia girl, seduta dietro stia pensando le stesse cose. In tempi che non sono più quelli.

Quando torniamo a casa si muove leggera. E io penso che 10 giorni sono volati, e lei è una giovane donna.

La girl grande è sparita. Forse sa che abbiamo bisogno di un tempo nostro, così è andata a dormire da un’amica. Ieri mi ha detto: mi stavo abituando a fare la figlia unica. Ma so che non lo pensava. Perchè non c’è niente di più bello che essere in due.

Dormi con me? Ho chiesto alla girl piccola appena uscita dalla doccia. Non so perchè ma avevo bisogno di riportarla a me. Solo un po’.

Perché l’anno prossimo sarà ancora più grande. E saremo già altro.

Ha alzato il mento, come a dire: fa lo stesso. Poi, però si è andata a prendere il cuscino e si è infilata nel letto.

Ci siamo acciambellate. Quel suo corpo di ragazza e la parte di lei ancora bambina. Quel mio corpo di madre trasformato mille volte che ha contenuto il suo. Tanto tempo prima, ma che è memoria.

Ci sono sensazioni che non si dimenticano mai. Come il corpo di un figlio vicino al tuo. Neanche quando non ci sono più e vanno lontano. Neanche allora. E sono quelle le sensazioni che sedimentano. E di cui, spero, avranno memoria i nostri figli.

Un’estate in campagna con la nonna e i cugini. Un ritorno a casa. Due corpi vicini per una sera. Noi due.

Una vita felice, nonostante tutto.

Perché è questo che speriamo per loro. Solo che a volte le cose si complicano. Le situazioni ci sovrastano. Perché non è vero che va sempre tutto bene e loro sono splendidi e noi godiamo di questo amore incondizionato.

A volte è tutto davvero difficile. Almeno per me. Ma poi ci sono queste serate e i giorni in cui per fortuna ci si riconosce come madri  e come figli.

E sono solo belle. Come due corpi vicini che si vogliono bene. Fosse anche solo per quell’attimo che la vita ci dona.

Penny

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