Questa è la settimana in cui il mio compagno non ha i figli. É un papà a metà, direbbe qualcuno. Invece è un padre intero. Che i suoi figli si muovono tra uno e l’altro senza drammi. E si raccontano le cose importanti e vivono la quotidianità. E anche se non si vedono tutti i giorni. Si amano e pure tanto. E le cose funzionano. E separandosi non li ha persi, come non si perdono le cose che contano.

É un padre come me, che sono intera. Nel senso che le mie figlie ce le ho sempre. Anche quando vorrei far fare loro un giretto dal papà, per uscire un po’, essere egoista il giusto, e baciare il mio fidanzato in santa pace (senza duecentocinquantamilamiliardi di interruzioni) e sapere che stanno bene in un’altra casa, con un’altra donna che se ne prende cura e le cucina qualcosa  di buono, e magari si raccontano i segreti, quelli che a me non dicono perché sono la madre. E le dicono pure: non lo dire alla mamma, lei non capirebbe.

E io sarei felice.

Ma la vita non va mai come la immaginiamo. E uno può fare due cose: o prenderla come viene, o incazzarsi perché gli eventi sfuggono al nostro controllo e vivere con molti se, che poi sono quelli che ce la rovinano.

Comunque, casa mia era piena di girls, così io e il mio lui, ieri pomeriggio ci siamo visti, verso le cinque.

“Mi vieni a prendere e ci beviamo una cosa?” mi ha chiesto appena uscito dall’ufficio.

Un’ora per noi, ho pensato. In una caffetteria  in centro e mi è sembrata un’idea bellissima.

Mentre mi preparo la girl piccola, la tallonatrice, mi domanda con l’aria spocchiosa:

“Dove vai?”.

“Esco con il mio fidanzato” e mi do anche una certa aria mentre lo dico.

“E ti pareva” mi risponde lei.

In casa mia va tutto alla rovescia e devo giustificare gli spostamenti come se io fossi la sedicenne. Loro sorvegliano la casa e si aspettano che io organizzi cene e uscite con gli amici.

Comunque sono uscita e ho raggiunto il mio lui. Io mi sono bevuta un caffè, perché era lunedì e ho iniziato la dieta. Lui si è mangiato un gelato (che ho assaggiato ovviamente) nella nostra Genova. Seduti al tavolino. E abbiamo parlato, non so nemmeno di cosa, non lo ricordo.

Ma è settembre e c’era quella temperatura giusta, una luce giusta e le parole giuste. Che poi fanno l’amore.

E non si sa descrivere, perché non è fatto di grandi cose, ma di sensazioni e attimi che scorrono senza troppe complicazioni.

“Mangi a cena da me?” gli ho chiesto a un certo punto (tenendo le dita incrociate, primo perché il mio frigo è vuoto, secondo pure). Lui mi ha guardato, sa cosa lo aspetta. Poi, visto che non parlava, ho aggiunto:” Vuoi la verità? Se io non avessi le figlie e tu sì, me ne starei per i fatti miei alla grande”.

“In effetti” ha detto lui, “casa vuota, silenzio, calma!”.

Ecco. Ci amiamo così. Con la libertà di poterci “non essere”, di non amalgamare tutto, e a me non importa cosa pensino gli altri. Perché funzioniamo. Senza litigare perché non abbiamo fatto questo o quello. Dovevamo dire o dovevamo essere. Che intanto non si può essere diversi da quello che si è. E diciamo e facciamo quello che sentiamo. Punto.

Torniamo a casa, ognuno nella propria. Un bacio sotto al portone. Che sniffo un po’anche lui ogni tanto ( ve l’ho detto che ho questa fissa per gli odori!) e mi sento una ragazzina.

Dopo cena butto la spazzatura e passo da lui. Lo bacio di nuovo e me ne torno a casa.

“Dove sei stata?” mi chiede la tallonatrice appena rientro.

“Lo sappiamo dove è stata”, s’intromette l’altra “a fare sesso”.

Le guardo mentre si lanciano risatine complici, non è necessario che io parli. intanto fanno tutto da sole. E dovrei essere io a chiedere e supporre, ma le cose non vanno mai come s’immaginano, appunto. E nemmeno i figli sono come li immaginiamo.

Propongo un film e la girl grande, che è di umore pessimo dall’esatto momento in cui stavo pensando che fosse più malleabile, butta lì:

” É inutile che tu voglia fare le cose da famiglia felice! Non sei il tipo”.

Mi chiedo qual è il tipo di madre da famiglia felice. Comunque non domando, a questo punto preferisco ignorare. Così ci molla sul divano che trasformiamo subito in letto e la girl piccola mi prende il dito e se lo passa sulla pelle come quando era piccola. E io, dopo un po’, glielo tolgo che non ne posso più. E passiamo tutto il film a togliere e prendere il mio dito, che l’oggetto transazionale, è molto meglio e certi figli dovrebbero averlo fino ai vent’anni, così ci lasciano stare.

Poi quando, finito il film, una sparisce, arriva l’altra. Umore rinnovato. Chissà cosa avrà fatto in camera mi chiedo! Si presenta per le coccole, e lì ho la mia rivincita: “Conta i giorni cara mia” le dico, “oggi è un giorno pari e i io ti voglio bene solo quelli dispari”.

“Vabbè”, mi dice lei: “facciamo così, se tu mi vuoi bene solo i giorni dispari, io ti voglio bene solo i giorni pari”.

Si lancia nel letto, che per poco non finiamo per terra, e vince.

Che l’amore lo si impara pure. Ed è bello. A volte.

Penny

 

 

8 comments on “Io non so parlar d’amore se non così.”

  1. Mi piace molto il termine Funzionare…. Due che assieme funzionano perche’ si lasciano respirare, perché’ si rispettano , perché non permettono che le convenzioni siano il loro tarlo…
    Non è’ semplice riuscirci, non siamo abituati a permetterci il coraggio di provare strade diverse…

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