Il gatto, di ritorno dalla campagna, si è ammalato, così ogni mattina mia madre lo nutre con siringhe di pastiglie e tonno, e io lo tengo stretto. Ne usciamo graffiate e perplesse. Con la puzza di pesce che ci fa compagnia tutto il giorno, ma ci prendiamo cura. O meglio, lei si prende cura e lo fa da sempre con tutto. Anche con me.  

Così, oggi anche se è domenica, sono uscita presto, ho preso la moto, che poi è un motorino, e sono andata da lei.

Mi piace da morire Genova dopo la pioggia. Genova stretta. Quell’odore di asfalto bagnato che copre tutto. Un silenzio surreale. La quiete dopo la tempesta. Pericolo scampato, qui. Un settembre qualsiasi.

Finito con il gatto ho chiamo lui. E gli ho chiesto: “Andiamo a Spianata?”.

“Ma é brutto!” mi risponde.

“No, è bello. La città dopo la pioggia. Noi due”.

“Sono raffreddato”.

“Copriti” gli dico io che mi faccio cura anche se non ne sono capace.

Lo aspetto sotto al portone. Lui scende. Le girls dormono.

É tutto a posto, penso.

Ho fatto il mio dovere. Posso comprare un po’ di focaccia per quando le ragazze si sveglieranno e preparare loro la colazione, cosa che non faccio mai. Così per oggi, solo per oggi, mi sento una buona madre. 

Adesso però, con la  coscienza a posto, posso rubare un attimo all’amore e all’incanto.

Guardiamo la città dall’alto. Ci affacciamo al parapetto. Immaginiamo vite dentro alle case che non sono le nostre. Famiglie possibili. Un vuoto pieno. Io e lui. Caproni. De André.

Non c’è nessun ordine. Nessuna regola. Palazzi uno sull’altro. Arrampicati. Come se facessero l’amore.

Eppure noi tendiamo sempre a mettere ordine. In casa, ad esempio, se c’è caos io sclero. Cerco di non guardare nei cassetti delle girls, altrimenti mi prende una crisi isterica. I maglioni arruffati, soprattutto se sono miei e me li hanno fregati, mi mandano fuori di testa.

E poi urlo che li mettano subito a posto. E loro mi guardano con gli occhi da gufo incredule. E quella me non mi piace per niente.

Un tempo non riuscivo a lasciare niente fuori posto. Tipo una maglietta sulla sedia. Ora è tutto diverso, anche se generalmente il disordine mi disorienta. Eppure quando vado a casa di amici mi piace il caos accogliente. Quello in cui ti puoi accomodare senza pattine o con la paura di rompere qualcosa.

Quando ero piccola mi dicevano: sei un elefante in una cristalleria. Questa é la percezione più nitida di me bambina. Come facevo ad amarmi? Si può amare un elefante? Mi spostavo e rompevo qualcosa.

E più me lo dicevano, più ero un disastro. Anche per questo penso che con i bambini dobbiamo stare attenti. Spesso i figli diventano quello che li facciamo diventare.

Me ne sono andata di casa a 20 anni. Per questo desiderio o pazzia d’indipendenza. I miei attoniti. Mi volevano bene. Io lo sapevo. Ma dovevo andare. Dove, non lo sapevo.

Un monolocale. Una convivenza. Una stanza con tre infermiere. Di nuovo da sola.

Sono stata spesso in urgenza. Ancora oggi mi muovo così. Quando le cose sono urgenti, io funziono.

 Ho fatto molti traslochi. Mio padre mi diceva: ” Da quando sei nata non fai altro che combinare casini”. Però mi aiutava a trasportare mobili e traslocare fidanzati. In prima linea al mio fianco.

Credo di averlo fatto soffrire, soprattutto quando mi sono separata, non sono stata proprio una figlia da linea retta. Ma credo sia stato orgoglioso del mio coraggio. Almeno voglio pensarla così. E comunque era lui che mi spingeva sempre un po’ più in là. Insieme a mia madre. Mi facevano crescere, desiderare delle possibilità per me.

Ho sempre cercato l’ordine nella vita. Mettere a posto. Impilare. Riordinare. Chiudere. Mettere dentro. Eppure qualcosa mi sfugge. Non ricordo dove ho messo quell’oggetto. Lo perdo. Lo rompo. Lo trovo sotto al letto quando ormai non la cerco più.

Eppure tutte le volte in cui il disordine ha avuto la meglio, in cui l’emergenza si è presentata tra capo e collo, sono successe cose meravigliose.

È in quel disordine che sono cresciuta. E ho pensato che ogni famiglia ha bisogno di qualcuno che lo incarni quel caos. Che se lo prenda tutto. E rivoluzioni.

Che stravolga oracoli e missioni già stabilite. Perché la vita è un precario equilibrio tra ordine e disordine. E se il disordine non sovverte l’ordine delle cose, la nostra vita si ferma.

E allora le crisi di panico spaventano. Il dolore. La sofferenza. Sono scossoni.

Possibilità di convertire il disordine in qualcosa di buono. Qualcosa che ci serva per ristabilire un ordine. Che poi sarà altro disordine. In un fluire continuo.

Siamo torrenti che scendono a valle e poi si trasformano sotto altre forme e ritornano su. E tutto ricomincia.

Che ci affanniamo a fare, mi verrebbe da dire. Come chiedere alla vita di fermarsi.

Dobbiamo  cercare di starci dentro. Senza impilare troppo. Senza pavimenti lucidi e mobili spolverati.

Che la vita é caos.

E nel letame nascono i fiori.

Nel fallimento i progetti più importanti.

Penny

4 comments on “Il disordine delle cose.”

  1. Anche a me dicevano che ero un elefante in una cristalleria. Mio padre però non era (non è) orgoglioso del mio coraggio. In un altro post, giorni fa, ti ho scritto le sue reazioni alla mia separazione…
    Leggerti oggi, quello che scrivi, oggi che sono tutta sgretolata dentro, mi fa bene e male allo stesso tempo. Tanto dolore… tanta solitudine.
    Vorrei riuscire a essere almeno un po’ come te.
    Un abbraccio

    • Ora ti spiego bene. I miei genitori sono stati spesso simbiotici. Mio padre fino all’ultimo mi ha tenuto i musi. O ero con loro o contro di loro. Io mi sono sempre scontrata. Ma ho imparato una cosa: ci amano come sono capaci. E questo ha messo pace dentro di me. Non ho più cercato di convincerlo. Di essere quello che lui si aspettava da me. Non dovevo per forza avere la sua approvazione. Né quella di mio marito. Questo mi ha fatto crescere e so che i genitori davvero ci vogliono bene. Magari non come noi vorremmo. Ma è così. Quindi percorso lungo. Lunghissimo. Anche per me. Bacini.
      Ps spero di essermi spiegata Penny

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