Ieri ha piovuto su di me. Di quelle piogge forti, che non ti beccano in pieno, per un pelo. Ma che sono monito e paura feroce.

Ho vissuto il dolore, non mio, di una persona a cui voglio molto bene. Ho sentito male. Perché sapevo che nulla di ciò che avrei fatto o detto avrebbe potuto alleviare la perdita.

Una tragedia, così, all’inizio di settembre senza nessun motivo. Nessuna colpa.

Una madre che va al lavoro un lunedì mattina.

“Non una come noi”, mi dice la mia amica piangendo a dirotto appena ha saputo della sua morte, “una che faceva il pane e c’era sempre. Che sapeva incastrare orari. Organizzata”.

Ho capito cosa voleva dire. Ho capito che, a volte, non si trova il senso. Non si capisce perché le cose accadano.

“Come faranno i suoi ragazzi? E suo marito? Come potranno stare senza di lei?” chiedeva piangendo, “non credo sarà felice” ha aggiunto lei che crede “anche se ora sarà in Paradiso”.

Ho pianto insieme a lei, e ieri la mia giornata non è stata più la stessa. Ho pensato a quei figli, alla loro mamma, e alle mie girls. Alla una possibile vita senza di me.

A questa esistenza che perdiamo di vista. Perché succede che un giorno vai al lavoro, pensi a cosa cucinerai per cena, a chi andare a prendere e a che ora, e alla sera non ci sei più.

Un bacio accennato, una risposta sbagliata. La spesa, le corse. E non possiamo fare diverso. O forse sì, quando piove su di noi, oppure molto vicino.

E allora mentre accompagnavo la mia amica all’obitorio ci siamo dette, per dare un qualche senso a tutto ciò, che l’amore donato ai figli rimane. Che quello che viene donato sopravvive.

Come l’amore di quella madre per i suoi figli.

Non so forse volevamo una certezza. Che tutto è incerto. E friabile. E viene portato via in un attimo. A parte una cosa. L’amore donato.

Che non c’è niente, ma proprio niente che abbia un valore, oltre l’esistenza.

Svegliarsi ogni mattina vicino alle persone che amiamo. E amarle sul serio.

Possiamo affannarci, disperarci, sentirci soli, cercare ovunque la nostra felicità.

Ma se dobbiamo lasciare qualcosa, se deve avere un senso il nostro passaggio qui, per quanto mi riguarda, l’unico desiderio che ho è che le mie ragazze sappiano di essere state amate. Oltre ogni possibile.

Che solo l’amore sopravvive alla morte. Nient’altro. Che l’unica cosa per cui vale davvero la pena è amare. Amare, e amare ancora. Fino a quando possiamo.

E quando l’esistenza ci viene portata via è l’unica cosa che resta di noi.

L’unica cosa per cui dovremmo affannarci.

Lei si chiamava Chiara. Non c’è più. Ci sono i suoi figli però. E il suo amore per loro.

Ci siamo noi qui. Così dentro alle nostre vite che a volte ne siamo fuori. E non troviamo più il senso. Quello dei legami. Qualunque essi siano.

L’unico che dovremmo cercare. Così vicino da perderlo e, spesso, non rendercene nemmeno conto.

Che l’amore. Solo l’amore è ciò che resta.

Penny

 

11 comments on “Quello che resta.”

  1. Tutto vero. Anche a me è successo…ti perdi un attimo e zac, capita qualcosa che ti sfiora e capisci che stavi deviando dalla parte sbagliata. Essere presenti e amare, sempre e solo questo importa.

  2. quel giorno un collega ci telefona per dircelo era a Brignole ha visto tutto, non la conoscevo ma sapere dei figli del modo cosi stupido e tragico in cui trovare la morte mi ha fatto star male per tanti giorni e ancora adesso leggere queste tue parole mi fa male e mi fa piangere…la vita va vissuta davvero pienamente ogni giorno è davvero importante …grazie per averlo ricordato ..:)

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