Raccontiamo il tuo giorno più bello, proclama una pubblicità. Una delle tante.

Si vede lei vestita di bianco. Immacolata in mezzo a un campo di grano. E se chiudiamo gli occhi ognuna di noi immagina il giorno del proprio matrimonio. I sogni gettati lì dentro. Alcuni perduti per sempre. Come una marea di soldi, d’altronde.

Quell’abito aderente al corpo. Chi un po’ vergine in odore di santità, chi un po’ bambola sexy.

Non so gli uomini cosa immaginino per se stessi. Non ci ho mai pensato. A loro non si dice:  raccontiamo il tuo giorno più bello. Né lo pensano, probabilmente. 

Bella come te non ci sarà nessuno, si ripete alla sposa. E lei ci crede.

Parole già sentite da bambine in una storia dentro a uno specchio. Pagine sfogliate di fiabe che finivano tutte allo stesso modo. Come un lavaggio della testa.

Ricordo quando ho scelto il mio vestito. L’ho trovato subito. Riconosciuto da una manica trasparente a calla. E un po’ ero delusa di non averlo cercato per giorni e giorni. Su un piedistallo, davanti a uno specchio e tutti che fanno: Oh! Sei uno splendore.

Dio come mi sono sentita stupidamente bella!

E poi il ristorante, l’organizzazione dei tavoli: chi con chi. E le bomboniere. Facciamo scegliere a mia madre altrimenti ci rimane male, dice il futuro sposo. Decisioni difficili, giornate compresse. Nessuno deve rimanere deluso. 

Il grande giorno. Il giorno perfetto.

Io e mio padre in anticipo che ci facciamo un giretto in macchina, l’aria sul viso; davanti al Comune baci e abbracci, a un certo punto Il fratello di mio marito se ne va. È offeso di non aver avuto l’accoglienza giusta.

Mia suocera trema per tutto il giorno. Una giacchetta sulle sue spalle è quello che ricordo. Non c’è mai stata per me. Solo in funzione del figlio e nipoti.

Le mie colleghe e i loro colori dentro a un album ora stantio. Un uomo e una donna, amici miei, che ballano, sono ancora felici. Lui si ammala nel giro di niente e muore. Lascia lei e le figlie appena adolescenti. Insieme a una marea di dolore. Quel ballo d’amore imbalsamato in un filmino di matrimonio. Il mio.

Torniamo a casa io e lui. A piedi. Il giubbotto di jeans sopra al vestito da sposa sgualcito. Camminiamo per la Genova vecchia e solo allora ricordo di esser stata veramente felice. Una attimo. Una sera di settembre. Volevo un figlio. La girl era lì, ancora prima di esserci.

Quante aspettative. E desideri dentro a quel giorno. Il giorno più bello della vita dicono a noi femmine. Come essere arrivate.

La conta dei giorni. Tutti stipati in uno solo.

L’altra sera mentre guardavo un film con la piccola, spunta una pubblicità: una sposa è in macchina con il padre. Stanno andando verso la chiesa. Piange. E tu pensi: crisi prematrimoniale. Allora i due si fermano. Il padre fa quello che deve fare, la rassicura. Riprendono il viaggio. Lui scende davanti alla chiesa e tu pensi: ora scende anche lei  e raggiunge il suo sposo davanti all’altare. E tutto finisce bene. Come una rassicurazione.

Invece no. La sposa rimane in macchina, lancia il velo e se ne va. Libera in corsa, chissà dove. E si tiene pure la macchina. Nuova e scintillante.

È così diversa dalle storie raccontate. Dalle pubblicità che ci vedono sempre ai fornelli. Con un grembiule indosso. A sorridere felici ai figli. Dentro alle mura di casa. E se fosse esistito almeno un finale così, con una sposa che fugge, forse le cose ad alcune di noi sarebbero andate diversamente.

Quante volte ci si trova in un rapporto e le azioni si susseguono come la colazione ogni mattina, il pranzo e la cena ogni sera. E sappiamo che forse, a un certo punto, dovremmo fermarci o fare qualcosa di diverso. Eppure andiamo avanti.

Così si deve. Così è giusto. I genitori. I suoi. I tuoi. Gli amici. Coppie come la tua con cui ci si incastra bene. E noi? Dove siamo noi? Magari provi a parlarne ma nessuno ti sente. Non ti preoccupare succede a tutti, ti dicono in coro.

I giorni passano. In un attimo abbiamo un figlio. E poi due. Forse tre. Prendiamo un cane e costruiamo un’idea.

Se da bambina avessi saputo che potevo avere un abito bianco lo stesso, vedere come mi calzava, farci un giretto, ma, poi, sfrecciare via con una macchina pure nuova, forse non avrei fatto tanti errori.

Come pensare che il matrimonio sia il più bel giorno della nostra vita. E stipare tutto lì dentro. Desideri. Sogni. Aspirazioni. Per poi scoprire che se ci avessi messo solo l’amore ce l’avrei fatta. 

Penny

14 comments on “La conta dei giorni.”

  1. Hai ragione. La lenta inesorabile costruzione dell’immaginario si attua così, un pezzetto alla volta, in un gioco di specchi. E credo che per le bambine sia stato sempre abbastanza peggio che per noi maschietti. Anche se condizionamenti culturali anche i maschi ne hanno. Ma per me, cresciuto a Roma, è stato relativo. Il buffo è che sia una pubblicità a far intravedere un’alternativa. Ma le pubblicità raccontano storie, quindi.. in 9 casi su dieci contribuiscono pesantemente alla costruzione degli immaginari omologati. Stavolta è andata meglio. Grazie della condivisione e buon tutto.

    • La cosa assurda è stata che mentre guardavo quella pubblicità anticipavo le immagini. Nella mia testa c’era una storia già scritta. Difficile pensare un finale diverso per noi. Ancora oggi se chiedi a una bambina cosa vuole fare da grande, nove su dieci ti dirà che vuole sposarsi e fare dei figli. Poi, magari, aggiungerà un lavoro. Non è così per i maschi…c’è ancora tanto da fare. Mi sa. Penny

  2. Ho letto tutto di un fiato, riesci sempre a emozionarmi, hai un talento naturale Penny, mi porti sempre a riflettere a pormi domande…. Ti ringrazio per questo.
    Non ho mai pensato al giorno del matrimonio come al giorno più bello, ascoltavo le mie amiche parlarne in quel modo e mi chiedevo sempre il perché… sarà che le cose nate per essere “per sempre” mi abbiano sempre spaventato, quel “fino a che morte non vi separi” mi inquietava parecchio… ho imparato presto a capire che nella vita niente è per sempre e se vuoi sopravvivere devi imparare presto che invece la vita è cambiamento continuo, devi saperti adeguare altrimenti sei spacciata altro che “per sempre”…. Sarà grazie a mia madre, la mia meravigliosa, anticonvenzionale, eccentrica, lunatica, fantasiosa, stravagante mamma, visto che ci ripeteva come un mantra “Ragazze mie la cosa più importante è un lavoro, è essere indipendenti… poi il resto viene da se… già mia madre…

    Ho deciso di sposarmi senza pensarci poi molto perche se ne avessi avuto il tempo forse non lo avrei fatto mai… aspettavo già la mia primogenita, avevo perso mio padre da poco ed ero come in trance… un automa… distrutta dal dolore, profondamente innamorata di mio marito, felice e spaventata per l’arrivo di un esserino di cui avrei dovuto prendermi cura “per sempre” e stavolta il per sempre era per davvero. Ho organizzato tutto in due mesi, ho scelto l’abito da sposa da sola tra una lezione e l’altra di un corso post universitario, su mia madre in quel periodo non potevo contare distrutta dal dolore per la perdita di mio padre.

    Abbiamo deciso di sposarci in chiesa, ma il primo sacerdote non voleva..non avevamo fatto il corso prematrimoniale.. bomboniere scelte velocemente cosi come tutto il resto. Di quel giorno ricordo che desideravo solo che passasse in fretta… Pioveva e non mi sentivo la più bella, con il mio corpo che cambiava, dissi al fotografo niente foto in posa tranne una soltanto, quella fatta con tutti gli amici.

    Ci siamo sposati nel pomeriggio di un giorno di luglio e pioveva, nonostante tutto entrando in chiesa mi sono emozionata, sono entrata da sola e ho camminato da sola verso l’altare, barcollavo, ma sentivo che non potevo e non dovevo appoggiarmi più a nessuno, se non c’era più mio padre a sostenermi , da li in avanti dovevo vedermela da sola…

    grazie ancora Penny

    • Mi sono emozionata anch’io leggendo la tua storia. Così bella da commuovermi. Hai ragione, la vita è movimento. La morte che arriva e ci stravolge facendoci sovvertire l’ordine delle cose. Non ci si appoggia, magari a tratti. Solo i figli sono un per sempre. Da lì non si scappa. Grazie per le parole buone. Me le prendo. Grazie per avermi fatto partecipe della tua storia. Ti abbraccio. Penny

  3. Ciao Penny. Io non l’ho avuto il giorno più bello ma lo incastro in una mattina: ero da poco con lui, dopo essermi trasferita da Milano nella sua piccola città del sud…lo amavo da matti…una mattina uscii dalla doccia e lui era lì e io ridevo…incinta del nostro primo
    bambino e potevo fare l’amore con lui sempre…toccavo il cielo con un dito…finalmente ioete. Ho iniziato ad avvertire la solitudine e il dolore legato a quel ioete dopo un paio di settimane. Sono passati 13 anni. 2 figli meravigliosi, i cani…non ne posso più…siamo dagli avvocati ad affiliare i coltelli…lui è un estraneo…provo a ripartire da un io e te fatto anche delle immagini di un passato anche bello..ma è durissima…sono stanchissima ma lui non vuole lasciarmi andare come se fossi una sua proprietà: non ho mai avuto un anello ma ora ho una catena.
    È sempre un piacere leggerti.
    Ti abbraccio
    Elo

    • Cara Elo per fortuna le catene si spezzano. Ci vuole tempo. E coraggio. Non sei sua. Prima o poi se ne farà una ragione. Spero che per te sia possibile consevare quell’io e te come qualcosa che è stato ma non per questo da buttare. Io me lo sono perso per strada. Ma voglio tenere stretti i ricordi. Ti abbraccio.

  4. Quante bugie ci hanno raccontato, a noi femmine! Io sono cresciuta con il mito del matrimonio, del “giorno più bello”. Finito come per te in un divorzio. Le mie figlie per fortuna sono state più pragmatiche, una si è sposata solo civilmente, lei lui e due amici. L’altra ha scelto la convivenza ed è una coppia felice e serena. Forse il mio esempio è per sempre servito a renderle più libere, o perlomeno mi piace pensarlo.

    • Che bello Linda. Spero che la mia storia sia la tua. Che le mie girl possano metterci solo l’amore. E nient’altro. Forse sei stata brava. A volte possiamo dircelo. Ti abbraccio tanto. Penny

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