La mia vita è fatta di contraddizioni. Vado a pilates, faccio una prova, poi zumba, gag…, Provo qualsiasi cosa che mi porti ad avere un contatto con quelle parti di me che faccio fatica a ritrovare.

Il nostro corpo fa parte di noi e anche volendo non c’è modo di evitarlo, purtroppo! Il mio sta cedendo alla forza di gravità, cerco di non peggiorare le cose. Il tempo per migliorarle è finito in dispensa.

Comunque, quando sono lì (dopo mille: ci vado, non ci vado, ce la faccio, non ce la faccio fino all’ultimo nano secondo) in mezzo alla mia giornata in corsa, con una bella tuta larga, in piedi o sdraiata (che non vedo l’ora di stare coricata); circondata da specchi in cui cerco di non guardarmi,  penso a come sia importante ritagliarsi quegli spazi. In cui la mente si apre. Il corpo riparte. Si suda. La serotonina fa il suo dovere. Sono felice. Proprio felice. Anche se non vedo l’ora che finisca ( ve l’ho detto che vivo in perenne contraddizione con me stessa!) .

Penso a come non si debba e non si possa rinunciare a questi momenti. A come sono importanti per ritrovare la carica per reggere il resto. Torno a casa giurando a me stessa che nella mia settimana salvaguarderò questi spazi. Croce sul cuore.

È sera rassetto la cucina, sistemo le ultime cose. Sono quasi le dieci. La donna di qualche ora prima non c’è più. Non so dove sia finita. Mi butto sul letto, la girl piccola è già lí. Io stramazzo. Lei piano piano infila la sua mano nella mia. Ricerca di un contatto. Poi appoggia la testa e si fa piccola.

Penso a tutte le volte durante il giorno in cui mi faccio concava. In cui accolgo dentro di me; dalla mattina, nel momento esatto in cui si svegliano, alla sera, anche durante la notte. Il mio sonno è attento. In allerta. Se succedesse loro qualcosa devo essere pronta. Sempre. 

Mi faccio concava tutte le volte che corro da una parte all’altra. Quando raccolgo confidenze, o sono mezzo per sfogare ansie e paure. Mi faccio concava quando se la prendono con me. Quando non smetto di sgridarle per ciò che lasciano in giro, che sarebbe più semplice raccogliere e basta. Mi faccio concava quando guardo il registro elettronico e raccolgo pianti. Concava quando sono arrabbiate con il padre. Concava ad aspettarle. Portarle. Traghettarle. Quella pancia in fuori che le conteneva, ora si fa buco per farcele stare tutte. Sempre.

E dentro a quella mano e quel corpo ripiegato sul mio, ritrovo il senso. E sono felice. Proprio felice. E penso che vorrei dedicar loro più tempo. Esserci di più. Essere migliore.

Sabato pomeriggio, torno da un convegno a Milano. Sono in macchina con le mie colleghe. Chiacchieriamo, ridiamo, ci confrontiamo sulla giornata intensa. Siamo contente di aver fatto qualcosa per noi, nonostante la levataccia. Abbiamo sentito parole come: fiducia in sé, accoglienza, cura, condivisione dei saperi, temi che ci riguardano da vicino. 

È stato bello, dovremmo farlo più spesso, ci diciamo. E io sono felice. Proprio felice e penso che devo farlo davvero, curare il pensiero, formarmi, darmi spazio .

Sta scendendo la sera, ci avviciniamo a Genova, iniziano le telefonate: quando torni? ci chiedono in coro figli e mariti.  Organizziamo tutte da lì. Comprate la pizza, dico io. Metti la teglia in forno, dice qualcun’ altra. Voci dall’altro capo che un po’ ci fanno sentire in colpa e forse nemmeno se ne accorgono.

Non ci siamo già più.

Credo sia questa la difficoltà, conciliare quella donna che ha bisogno di spazi con quella madre. Mettere insieme l’una e l’altra salvando entrambe. Come stare su un’asse d’equilibrio. Questo cerchiamo di fare una vita intera.Trovarci un posto. Un posto in cui vorremmo vivessero entrambe le nostre anime.

Come essere doppie e cercare di essere singole.

E quando qualcuno ci promette di volerci tutte, e poi pretende solo una parte ( e noi sappiamo qual è) ci sentiamo tradite. A volte rinunciamo. A essere.

Desidero, come ogni donna (almeno quelle che passano da qui), quegli spazi di libertà e anche quella mano stretta tra le mia. E non importa quante volte dovrò farmi di nuovo concava, e quanta sia la fatica, il correre, traghettare, sostenere. Vorrei entrambe. 

Mi chiedo tante volte se anche agli uomini succeda la stessa cosa, di sentirsi tagliati a metà e di passare una vita a ricucire minuziosamente quelle due parti, e se qualcuno dà uno strappo forte ricucire ancora. 

Non strappateci, non fatelo più. Perché se lo fate non saprete mai veramente chi siamo, né potrete amarci sul serio.

Non rinunciamo, non facciamolo più. Perché se continuiamo a farlo non sapremo mai veramente chi siamo.

Con affetto Penny

4 comments on “Donne tagliate a metà. Una vita per ricucire.”

  1. Penny a volte sei così reale che invece di essere tu, sei ognuna di noi, quelle di noi graffiate dalla vita eppure ancora alla ricerca della felicità. Apri il cuore di chi soffre e lo spingi a continuare,a non mollare mai perché dopo averti letto sentiamo di non essere sole e a non sentirci in colpa per tutte le incertezze emotive che viviamo. L’alternarsi dei sentimenti ci fa sentire inadeguate, sbagliate. Poi leggiamo te e ci riconciliamo con noi stesse. Menomale che ci sei!
    Buon pomeriggio e buona domenica

    • Scrivere e leggervi mi aiuta a sentirmi più adeguata. Anche ascoltarti spinge il mio cuore avanti, perché a volte, farci stare tutto è faticoso. Ti abbraccio. Resta con me. Bacini

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