Oggi io e le girls siamo uscite. Solo noi tre. Ci siamo concesse un pranzo cine-giappo. Era un po’ che me lo chiedevano. Il 23 ho preso lo stipendio. O lo faccio ora o mai più.

Abbiamo parlato tanto. Anche di cose serie. Ieri la mia grande ha partecipato ad un incontro sullo ius soli. Ha le idee chiare. “Il mondo è di tutti”, dice sicura. E io sono con lei.

Abbiamo discusso del loro futuro.

“Mi piacerebbe fare il medico”, butta lì.

Hai un dono e una passione”, le dico io che vorrei facesse l’Accademia, perchè so com’è felice quando disegna.

“Sì, ma con il disegno non si mangia!”

Da dove mi sia uscita questa figlia io non lo so. La testa sulle spalle, un cuore grande e un corpo che non le piace.

“Non avere paura, spingi i desideri” aggiungo, io che ho fatto così fatica a trovarli. Intanto farà ciò che crede.

L’altra è silenziosa. Le devi tirare fuori le parole con le pinze. Lei è quella del dito la sera. Penso mi sorprenderà. Deve avere un mondo dentro che io non conosco ancora e chissà quanto me ne concederà. 

Parliamo anche del blog, mi sfottono e mi chiedono. Racconto loro di alcuni commenti, vogliono sapere se qualcuno mi scrive cose brutte.

“Qualcuno mi dice che non dovevo sapararmi, che i figli sono più felici se i genitori stanno insieme”.

“Non è vero” ribatte subito la grande ” i figli non stanno bene nelle famiglie dove si urla o non ci si parla o non ci si ama”.

Ricordano la tensione palpabile che c’era.

“Ora è meglio” aggiungono.

E io lo so. Lo sento mentre siamo lì e anche dopo mentre camminiamo noi tre verso uno dei tanti negozi. Siamo una famiglia, a nostro modo.

Vogliono una maglietta. E io non so dire di no.

In fondo non mi chiedono poi molto. Così, anche questo mese nessun vestito nuovo per me. Ma non mi importa.

Fuori dai camerini aspetto insieme ad altre madri. I piedi bruciano, perchè quelle mi fanno camminare e stanno attente guardano i prezzi, se un capo costa più di 20 euro non lo prendono nemmeno in considerazione.

Provo tenerezza. Per quello che sono. Per quello che siamo insieme.

Mi guardo allo specchio. Vedo la donna che sono. Stanca, di certo.

Rugosa. Ingrassata. Un maglione vecchio secoli. Eppure mi sembra di avere tanto. Due girls nei camerini a far prove di se stesse e con se stesse lotteranno una vita. Come tutti. Io fuori ma ancora dentro le loro vite. E chissà per quanto.

Mi siedo in qualsiasi sedia, poltrona, sgabello che trovo.

Spuntano con la testa. Una a destra, l’altra a sinistra.

“Vieni qui” mi urlano. Così mi alzo e aspetto tra i due camerini.

“Non te ne andare” dice una delle due.

“Non me ne vado” rispondo alle tende. La mia voce eco per entrambe.

Dove potrei andare, penso tra me.

Non lontano da loro. Non finchè avranno bisogno.

E che nessuno ci dica quello che siamo o non siamo. Nè cosa dovevo o non dovevo fare come madre e come donna.

Io sono qui.

Ci sono io.

Questi sono i fatti.

Loro sono la mia famiglia. Io la loro.

Non credo ci sia altro da aggiungere.

Penny

6 comments on “Siamo una famiglia, in qualche modo.”

  1. Che carine ! Me le vedo nei camerini che si affacciano e ti chiedono di non andartene…. anche la mia fa sempre così! I figli sono così prima ti borbottano dietro e poi ti cercano e ti fanno capire che non possono stare senza di te e che la tua opinione in fondo vale più di qualsiasi altra cosa .

    • Sono fortunata, a volte, lo penso. Penso che noi tre creiamo un bel movimento, anche se ci sono momenti difficili e faticosi. Ma siamo in cammino. Credo conti questo cara Viola, non stare immobili. Penny

    • Un giorno una psicologa mi disse:” La famiglia non è un luogo fisico, è un’unità di intenti, qualunque sia la distanza”.
      Cara Marielik credo avesse ragione, nonostante pensiamo sempre a un unico modo di essere famiglia, credo sia così. Ti bacio

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