Lui mi parla dell’amore. Lo fa attraverso la sua presenza.

Il venerdì, ogni quindici giorni, cerchiamo di ritagliarci una serata. E quando anticipo alle girls che uscirò, la piccola mi dice: “Uffa, sono sempre sola il venerdì”.

“Tu sei fuori!, venerdì scorso ero sdraiata con te a vedere xfactor, e anche quello prima e quello prima ancora”.

“È vero!” esclama la girl grande, stranamente in mia difesa, che quella il venerdì se ne esce sempre. Ma questa volta contratto: la festa, a cui tiene tanto tantissimo, a cui pensa da giorni, del sabato sera in cambio di un venerdì con sua sorella. Non può dire di no.

“Mi ricatti?” mi chiede provocatoria.

“Chi io? Sia mai. Ti obbligo”.

Così esco. È lui che organizza la serata, che se aspetta me finiamo di sicuro sul divano con la copertina all’altezza del naso.

Feltrinelli, pizzeria e cinema, mi propone con un messaggio, più tacchi.

Rispondo subito: senza tacchi e paghi tu.

Allora non se ne fa niente, mi risponde lui.

Giochiamo un po’ ma pagherà lui e io mi metterò i tacchi. Che sono tacchi per modo di dire, uniche scarpe alte due centimetri.

Ci diamo un vero e proprio appuntamento, così, dopo il lavoro torno a casa. Preparo la cena veloce (molto veloce, scongelo due hamburger ) e mi cambio con fatica, che se fosse per me andrei in jeans, scarpe da ginnastica e maglione bello largo.

Faccio il solito giro di accompagnamento: prendo la piccola e la mollo agli scout, raggiungo la grande e la porto a nuoto, che mi tiene persino il muso perché sono in ritardo, e finalmente mi dirigo alla Feltrinelli.

Lo vedo, sta parlando al telefono. Ho i suoi tacchi (perché, dalla disperazione, quelle scarpe me l’ha regalate lui), una camicetta panna e una collana di perle comprata in un mercatino. Cose già viste, niente di che.

Ma lui mi guarda e so che sta pensando che sono bella. E quello sguardo lo tengo un attimo su di me. E lui anche mi piace. Mi piace da sempre. Mi piace quando mi guarda in quel modo. E non so se sia vero che a un certo punto la voglia dell’altro si affievolisce o forse ce lo raccontiamo per restare.

Comunque io mi sento inadeguata. Per questo, a volte, quel paio di jeans, quelle scarpe ancorate al suolo e il maglione largo mi sono necessarie.

Che la bellezza non è mai facile.

Almeno per me, che neanche con le ballerine mi sento in equilibrio, figurarsi con i tacchi, e passare inosservata, spesso, è quello di cui ho bisogno.

Essere belle è impegnativo, anche se si tratta di una bellezza soggettiva. Devi reggere gli sguardi, sentirti all’altezza e per me sono fatiche: reggere gli sguardi e sentirsi all’altezza. Vuol dire mettersi in gioco e, a volte, è più semplice non farlo. Essere sciatte, ad esempio, così nessuno si avvicina. Un po’ di ciccia che ci protegge, cibo che compensa.

Comunque sono bella per lui, e un po’ mi aiuta ad essere bella per me, che da sola non ci riesco.

Ci guardiamo qualche libro, andiamo all’inaugurazione di una mostra e in pizzeria. Tutto a qualche metro di distanza, per fortuna, che io barcollo su quei tacchetti, ma sono felice che lui sia felice.

È uno scambio semplice l’amore.

È bella la sera, le luci scendono piano, con delicatezza e questo mi sembra tempo buono. Per noi. Nulla di speciale.

Prima di cenare chiamiamo casa, io le girls, lui i suoi, che sono con la loro mamma. E io li ammiro. Ammiro lui e sua moglie, quel loro essere insieme nonostante non lo siano più fisicamente. E mi dispiace per me e per le mie ragazze.

“Tutto bene?” chiedo alle due, al telefono. La girl grande sta male, ha mal di pancia e mal di testa e nausea.  “Cavoli, mi preoccupi”, le dico, “fammi sapere come stai, caso mai torno”.

Entro in ansia e lui mi tranquillizza. “È la piscina, non è abituata a far fatica” e forse ha ragione, penso tra me. Però non è la stessa cosa se fossero con il padre, se fossero felici, con lui, nella sua nuova famiglia.  Forse è colpa mia.

Dopo una mezzora mi arriva un messaggio della girl: “Sto meglio, buona serata!” e mi manda la faccetta con il bacino.

Respiro. Vuole che io sia felice, lo so.

È uno scambio semplice l’amore, appunto.

Passeggiamo. Mano nella mano. Dopo la separazione ho imparato a fermarmi sulle mani incrociate, sullo spessore della pelle, sul sapore dei baci. Sull’odore dell’uomo che ho accanto.

Ho imparato perché quelle stesse emozioni le sento su di me. Sento di appartenere e di dipendere in qualche modo, ma non è una mancanza di autonomia, è un prendersi cura, avere cura di, sentirsi parte, senza venirne inghiottiti, anzi.

Prima non era così. Forse lo è stato, ma per poco, ne sono sicura.

Entriamo al cinema, ci sediamo in sala, mi si chiudono gli occhi, sento il peso della giornata, i piedi mi fanno male, e il film è pessimo, ma siamo vicini, lui appoggia la testa sulla mia e mi sembra bello.

Mi guardo intorno, ci sono coppie della nostra età, immagino; forse hanno i figli grandi, forse cercano uno spazio per stare insieme. Dentro a un tempo che scorre implacabile. E, a volte, ci si perde.

Torniamo a casa. Vorrei stare con lui. Starci di più, ma questo è quello che posso prendere.

Vorrei essere una buona compagna, non dare pensieri, non infilarmi sotto le lenzuola con la tuta da sub, sentirmi bella, dare spazio a questa coppia che ha provato a essere famiglia e non c’è molto riuscita.

Vorrei tante cose per me e per lui. Eppure quello che ho, è questo. Una vita ingombrante. Quello che sono, è questo. Lo amo e glielo dico, anche se siamo nati storti, anche se non abbiamo un anniversario, se non dormiamo spesso insieme, se lui è un brontolone, io una rompicoglioni, e non cucino. Se lui non è mio marito e io sua moglie.

Che l’amore ha il suo senso dentro ad ogni storia. La mia è stata spogliata di tutto. Un matrimonio. Una casa in cui vivere insieme. Dei figli in comune.

Se succedesse qualcosa a uno dei due tutto finirebbe con noi. Nessun contratto, nessuna garanzia di un per sempre. Forse lontani anche dopo, quando non ci saremo più. Nessun passato da condividere, se non quello recente.

Eppure io mi sento dentro a questo amore e mi sento amata. E questo non toglie nulla a quello che siamo stati dentro ad altre storie, ad altri amori.

Non toglie niente. Che l’amore aggiunge, allarga, apre. Non ha alcuna garanzia di riuscita, bisogna solo provarci. A volte funziona, altre no.

Che la favola non esiste, ma quello che c’è è molto di più. Mi sa che dobbiamo iniziare a dirlo che ci si può lasciare. Una possibilità fra le tante.

Forse quell’eternità che tanto cerchiamo allora potrebbe esistere. Come una promessa. Nell’attimo in cui siamo presenti a quell’amore. Solo quell’attimo. Senza ipoteche. Solo noi e il tempo che basta. Che il presente, a volte, è già futuro.

Che l’amore è uno scambio semplice. Davvero semplice quando non lo si complica.

Penny

 

 

 

 

 

 

10 comments on “L’amore è uno scambio semplice.”

    • Sono contenta, non che tu pianga, ma che ti senta coinvolta dalla mia storia, che l’empatia ci salva. Bacini, a presto. Penny

    • La storia è bella, basta guardarla dalla prospettiva giusta. Faticosa, a volte, ma le cose belle non sempre sono semplici. Per quanto riguarda me, non è tutto oro quello che luccica! Bacini

  1. La prima frase è tutto, adesso l’ho capito e mi sento un pò fortunata. Per il resto tante domande e tanta paura se si pensa oltre…come molte volte solo noi donne sappiamo fare, ma oggi più che mai riesco a vivere e a fermarmi nel presente (a giorni alterni) nei momenti felici e non. Ed è bello entrambe le consapevolezze e che l’amore non è per sempre, ma nel presente può dare tutto. Qualsiasi tipo di amore.

    • Come dire: essere presenti a se stesse. Non fuggire nel futuro che è un modo per non esserci. Ma stare. Bello no? Ti bacio tantissimo amica mia. Penny

  2. La “colpa” è di Erodaria se sono qua 😉 Mi ha uozzappato questa mattina, perchè sa che resto un defilato, e che ogni volta voglio chiudere il suo blog 😀 Certo per iscriversi al tuo blog c’è voluta un po’ più di burocrazia che per fare la carta d’identità, ma si sopravvive 😀

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