12 e 10. La girl mi scrive un messaggio.

“Viene un mio compagno a pranzo, cucina tanto!”.

Cazzo, penso e non lo scrivo.

“Latino?”, le chiedo.

“No. Ni. Arte ok”.

Risponde così. Il linguaggio mi è chiaro. Purtroppo.

“Hai capito che devi cucinare?” insiste.

“Ma scusa dove sei?” le domando.

“In classe”.

Andiamo bene, penso tra me. Spero sia in pausa. “Chiudi subito il telefono!” le rispondo.

La mia mente parte per la tangente. Devo cucinare. Cosa? Quanto?

Se fossi ricca andrei in rosticceria. Troffie al pesto, pollo e patatine.

Ma siamo quasi a fine mese. In realtà neanche all’inizio me lo permetto…

Esco dal lavoro di corsa.

Arrivo a casa. Faccio i letti. Metto tavola.

Alle 13.30 viene la piccola. Alle 14 deve uscire per un corso. Faccio le patate al forno così è contenta e la fettina. Metto su l’acqua per la pasta per la girl grande e il suo compagno. Preparo il sugo.

La piccola mi chiama.

“‘Ma’ sto arrivando. Che cosa c’è da mangiare?”.

“Patatine e carne” rispondo fiera fierissima.

“Che noia! Posso pranzare fuori e comprarmi una piadina?”.

Ringhio. Dopo tre minuti è lì.

“La prossima volta minestra. Altro che patatine!” le dico risentita appena mette le gambe sotto al tavolo.

Non mi risponde. Mangia neanche fosse un uomo, ci manca che rutti e siamo a posto, poi si alza.

Brontolo :”Togliti il piatto, almeno quello”.

Se toglie il piatto, arriva tardi, dice la principessa con un piede già sulla porta.

Arrivano gli altri due. Si siedono.

Li servo. Sparecchio.

Se la parlattono. Forse arrivano altri tre compagni per fare matematica.?

“Abbiamo qualcosa per merenda?” chiede la girl grande.

“Vorrei scappare”, le dico.

Il suo compagno ride. Lei sa che lo penso davvero.

Sistemo la cucina e preparo la minestra (questa volta sul serio che devo tornare a scuola e prima delle 19.30 non rientro a casa).

Mi riposo dieci minuti, penso sognando la poltrona. Unico buco disponibile dove appoggiare il mio sedere in 46 metri.

Mi chiama l’altra. La piccola.

“Ho finito il corso. Stiamo arrivando”.

“Stiamo arrivando…chi?”.

“Io e le mie tre compagne. Abbiamo qualcosa per merenda?”.

“Cazzo!”, questa volta mi scappa “ma avete un chiodo fisso!”.

Ma cosa sono? un porto di mare? esisteranno case più grandi della mia? Più confortevoli? Con un padre e una madre e una torta al cioccolato fatta dalla nonna?

Inizio a pensare. Io e la girl grande siamo a dieta, (bella scusa per comprare poco?) e non posso offrire biscotti senza lievito, senza zuccheri, senza senza.

Così, tanto per farmi male, prendo una ricetta del mio sindacalista preferito e faccio del pane che si cuoce in padella (una specie di miracolo!), ci sbatto sopra della marmellata e propino ‘ste robe piatte un po’ deformi sperando che bastino.

Stendo. Perché una lavatrice a rompere le balle c’é sempre.

La poltrona?

Cos’è?

Due adolescenti occupano il bagno per mezzora e fanno quello che devono. Prima una, poi l’altra.

Dovrei uscire per quella riunione…” dico.

Nel frattempo arriva un odorino, la girl piccola obbliga le sue amiche ad aprire lo sputo di finestra che, ovviamente, è incastrata.

Rinuncio. Impraticabile. Tengo duro. Userò il bagno della scuola.

Prendo la giacca. Chiudo la porta e mi ci appoggio.

Evviva, sono fuori.

Mi infilo il casco e parto.

Menomale che arriva il momento in cui vado a lavorare, penso.

In cui mi libero di loro per qualche ora.

Posteggio. Scendo.

Il telefono vibra.

“Ma’ ” dice la piccola “dove sono i biscotti? Qui abbiamo ancora fame!”.

Posso spararmi. Subito. Farlo qui.

Sdraiarmi sul pavimento. Rotolare per la discesa. Spiaccicarmi sul muro. Come un geco.

Io non ci ritorno a casa.

Non ci voglio tornare.

Sto in classe che è meglio.

Persino le riunioni in cui ci accapigliamo tra colleghe sono meglio.

Non ne voglio sapere. Del cibo. Delle lavatrici. Di quelle due e del loro seguito.

Avranno finito persino gli yogurt e il latte. Potrei scommetterci.

Potrei farmi chiudere dentro alla scuola. Invece. Stasera.

Sarebbe facile nascondersi.

Dormire in palestra. Per una notte.

Due tappetini in un angolo. La giacca come coperta.

Silenzio.

Digiuno.

Nessuna cena da preparare.

Nessun litigio per chi sta in mezzo sul divano.

Nessuna lavatrice da stendere.

Cucina da riordinare.

Datemi una sera e una porzione di notte.

Una sola.

E torno come nuova.

Ma soprattutto che qualcuno inviti le girls a pranzo!

Una volta sola.

Anche mezza.

Una merenda??

Cavoli! Prendetevele per qualche ora!Vi prego!

Ps: volete sapere come è finita?

Una, a un certo punto, è rimasta chiusa fuori casa. L’ho trovata in calzini sulle scale davanti alla porta. Non chiedetemi come sia stato possibile. Preferisco ignorare.

Hanno litigato per chi doveva togliere tavola.

E hanno litigato per chi stava nel mezzo.

Alla fine indovinate un po’?

Un divano letto. Noi tre. Palla al centro.

La palla, ovviamente, sono io.

Penny

8 comments on “Un figlio per capello.”

  1. Il rapporto tra madri e figlie, e ribadisco figlie, figlie e madri è ingombrante è indigesto come mettere la spremuta d arancia fresche bevuta dopo il caffè! Nonostante tutto ci si ama reciprocamente ❤️

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