Poi arriva la sera.

Lei, che si aggira quasi estranea durante il giorno. Che risponde sì e no, muovendo solo la testa. Che ha la fronte corrugata, sempre.
Lei. Di cui non conosco più i pensieri.
Che si chiude in camera e mi tiene fuori.
Che sparisce e poi torna. Cuffie in testa. Capelli lunghi come le altre mille. Mani nascoste sotto la felpa. Lei, a cui fa tutto schifo.
Lei, quando il giorno finisce, entra di soppiatto nel mio letto. Si corica accanto. Mi prende il braccio e lo avvolge intorno alla sua testa. E sta lì. Come non esistessero i musi. La porta chiusa. I silenzi che mi terrorizzano. Gli occhi sul telefono. Le confessioni di ore alle amiche. La distanza.
Tiene la sua mano nella mia. E la stringe. Cerca i piedi sotto le coperte. I corpi ad incastro. Come un tempo. Lei ancora piccola, in fondo. Io già grande.
Come si possono dimenticare i figli? Perderli nell’arco di una vita?
E io so che ha ragione. Io sono sua madre e lei mia figlia. E finché ci sarà lo spazio di quell’incastro non devo avere paura.
La luce non è mai ferma e stabile, in fondo. Così anche l’amore.
Che vada. Affronti mondi. Conosca. Pianga. Ami. Incontri. Si arrabbi. Sia felice.
Ma poi torni. Da me. Anche solo per un attimo. Per ricordarci chi siamo.
Io sua sua madre e lei mia figlia.

E tutto torna al suo posto.

Penny

Sosdonne.com

3 comments on “Lo spazio dell’incastro. Con i figli.”

  1. “Ai figli dovremmo dire che possono andare lontano. Molto lontano. Dove non li vediamo più.

    E che noi saremo qui. Quando vogliono tornare”

    – la verità è sempre questa

    Buono ‘stare’

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