Ci sono giorni in cui bisogna lasciar andare. La rabbia, ad esempio. Che brucia e consuma fino a far male.

Succede quando l’altro ti richiama dentro al rapporto, un rapporto che tu hai chiuso tanto tempo prima, e lo fa attraverso i figli.

E devi cercare parole buone dentro di te. E farlo per loro, perché sappiano che non devono scegliere da che parte stare, devi trovarle quelle parole, rimestare in fondo al barile, perché le tue figlie possano essere escluse dal “gioco al massacro” e si possano chiamare fuori.

Ma quanto è difficile! Che è come lottare contro i mulini a vento.

Lasciar scivolare, è l’unica via d’uscita, e lo sappiamo che andare oltre è complicato, richiede coraggio.

E quando i figli ci mettono sotto, se l’altro accusa, perché vorrebbero sapere a chi dare ragione, abbiamo un unico obbligo nei loro confronti e in noi stessi: abbandonare il gioco.

Mollarela presa. Chi importa chi vince, appunto.

Il che non vuol dire rinunciare alla verità, ma non schiacciare i nostri figli come una pressa, aprire l’ombrello e ripararci dalle parole che ci incriminano, dette a loro, perché arrivino a noi.

E continuare a costruire strade nuove; questa è l’unica nostra vittoria, renderci autonome il più possibile.

Andare avanti. Oltre.

Essere libere. Dalla rabbia. Dal passato. E se l’altro vuol rimanere in quel terreno, lasciarlo lì. Le parole, dopo un po’, scivolaranno a terra e si perderanno.

Noi nel frattempo abbiamo costruito. Noi nel frattempo siamo lontane, al riparo.

Come un nuovo che avanza. Che sta imparando a stare bene. Ed è esempio per i figli.

Penny❤️

5 comments on “Sottrarsi dal gioco, quando è massacro. Per noi e i nostri figli, se ci sono.”

  1. Mamma mia come sei brava a dare voce, motivo e spiegazione a quella rabbia che spesso riaffiora, che è riaffiorata proprio stasera, e della quale già stavo quasi per sentirmi per l’ennesima volta in colpa. Ma poi leggo di quel “richiamare dentro il rapporto” e capisco cos’ è che tanto mi infastidisce. Io che volo via e lui che rimane lì, che non sa fare altro che usare i figli per non permettermi di andare del tutto. Ma io sono andata ormai, e costruisco altrove, ed esploro nuove strade, e vado incontro ai miei desideri e ad una mia dimensione ideale di vita che, una volta libera dagli ultimi lacci, raggiungerò. Ho smesso di vivere col freno a mano tirato, col respiro trattenuto, in cambio di un senso falso di protezione. Della “stabilità”. Della “sicurezza”. Ora respiro, e vivo, e ti leggo, e lascio andare un po’ anche questa rabbia residua. Grazie Penny.

    • Cara Ilenia, che belle le tue parole, piene di speranza. L’altro non si salva, nonostante il dolore, quando riusciamo a capirlo è fatta. E poi quel senso di falsa protezione, nessuno può proteggerci e la vita è instabile, inutile renderla diversa. L’unica certezza siamo noi. Ti abbraccio. Grazie di essere qui. Penny

  2. si…mollare la presa. Ho messo quattro cose in una valigia. Ho baciato tutti e tre i figli come quando partivo qualche giorno per lavoro e sono andato. Chiuso il portone ho pianto come un bambino, ma non mi sono girato loro non hanno visto.

      • hanno 24, 21 e 13. Si ci parlo con loro. Sanno che sono ancora perdutamente innamorato della mamma e che per loro ci sono sempre, ma sanno che papà ha sbagliato (tranne la piccola sanno tutto) e che non c’era altra soluzione. In particolare il più grande (il maschio, le altre sono femmine) mi incita a continuare a fare la corte a mia moglie. Io discretamente continuo il mio corteggiamento, ma so che è una lotta disperata. In ogni caso, anche se ho sbagliato, per la mia famiglia ci sarò sempre. Il mio cuore e la mia anima sono con loro.

Rispondi