Mentre sono a collegio docenti le girls mi scrivono un messaggio: “Mamma prendi del ?. Facciamo una serata donne, film e gelato!”.
Sorrido, il fatto che si chiamino donne è buffo e poi, quella frase… come se in casa nostra ci fossero serate diverse da noi tre, ovvero total femmine. Comunque, quando finisco la riunione, una collega mi chiede se andiamo a farci un bicchiere di rosso…giuro che l’idea mi alletta, ma siccome le girls mi degnano di attenzione, a malincuore rinuncio e mi catapulto nella loro gelateria preferita per acquistare la vaschetta di gelato, pregustandomi la serata. Essendo fuori dalla mattina, arrivo a casa che sono piuttosto stanca, mi tolgo le scarpe, metto a posto il sacchetto della spesa, e dalla sala mi urlano: “Ma’, ti stiamo aspettando, sbrigati”.
Cerco di spogliarmi in fretta e furia, preparo le tre coppette e finalmente mi fiondo sul divano.
Cioè, mi sarei voluta fiondare sul divano, ma le due vogliono mettermi in mezzo, tra di loro.Tengo duro, e dopo dieci minuti buoni mi aggiudico la postazione a sinistra del divano, lato bracciolo. Loro continuano altri dieci minuti a litigare su chi sta al centro, e sono insopportabili. Quando smettono domando:
“Che film avete messo?”.
“Non è un film, mi rispondono, è Dynasty!”?
“No, ragazze, Dynasty non ce la posso fare”.
“Una puntata, poi guardiamo un film”, mi rispondono facendomi anche scscsc…
Finisco la mia coppetta. Raccolgo le loro, le porto in cucina. Mi risiedo. La puntata finisce.
Una girl si alza e annuncia:” Io devo studiare”; all’altra, la piccola, suona il telefono, è un certo Andrea, “Vado in cucina” dice alzandosi pure lei.
“Ma non era una serata donne, cinema e gelato?” chiedo mentre sono già fuori dalla stanza.
La grande ritorna indietro, si affaccia alla porta e mi dice:” Dai ma’, era una scusa…il cinema intendo, la serata, intendo…volevamo il gelato e basta!” esclama e sparisce.
Rivoglio le mie bambine! Le serate così uguali da farsi venire la nausea. I cartoni, leggimi una storia, ancora una, l’ultima; rimboccami le coperte, stai un po’ qui con me, non spegnere la luce. Dammi il mio pupazzo, così quando vai di là non sento la tua mancanza, lascia la porta aperta, tieni la lucina accesa.
Rivoglio la loro infanzia solo per un attimo. La vicinanza dei corpi, l’ingenuità che vince sulla scaltrezza, il sentire l’odore, il viso sul mio collo, un bacino che risolve tutto. Un “ti amoro” e braccia al collo.
È proprio vero che siamo plastiche. Che una madre, forse anche un padre, chi lo sa, si deve abituare a questo andare e venire, che deve essere modellabile come creta. Che deve fare posto, afferrare quello che viene, come viene, quando viene. E, a volte, deve aspettare tanto prima che qualcosa torni. Deve stare in attesa. E non solo nove mesi, o il tempo di cercarlo altrove quel suo bambino, ma di più. Deve essere pronta. Accogliere anche quando respingono. Essere vicino e poi distante e poi vicino, come un elastico teso che si lascia andare all’improvviso.

Devono essere tante cose le madri, per questo forse a volte si confondono, non sanno quale sia la scelta giusta. Perché ogni attimo della loro vita può essere l’opposto di quello prima. Perché se hai trovato un modo che ti sembra vincente, il giorno dopo non funziona. E tu non ci capisci più un tubo.
Rivoglio la loro infanzia. Anche le notti con le occhiaie che iniziavano e finivano lì. Dentro alla stanchezza. A pensarci ora, mi sembra facile l’infanzia dei figli. Ma so che non è così. Ogni tempo porta con sé qualcosa. Ci attraversa.

In questo momento il nostro mondo è quello delle parole, dei musi lunghi, del cambio d’umore. Le riconciliazioni non riguardano più il corpo, un abbraccio, un sentire. Sono rapide, dopo atti che sembrano tragedie greche.
Eppure non si può fare diverso che starci dentro.Dentro ai corpi che cambiano così in fretta che manco hai il tempo di abituartici. Dentro alle colpe che sono tutte tue.

Siamo elastiche noi madri, per questo forse siamo morbide, dobbiamo plasmarci di continuo.
Abituarci di continuo. Sterzare di continuo. Fermarci. Farci invisibili ed essere presenza di continuo.

Chi ci capisce qualcosa è bravo. Per quanto mi riguarda navigo a vista. Ogni giorno è un po’ come un’ improvvisazione, nella speranza che mi vada di culo. Di non essere troppo pessima. Di non fare troppi casini.

Navigo a vista, appunto. E ogni sera, quando chiudo gli occhi non vi è certezza. Se non che ci saranno altre sere in cui non avrò certezze. E chissà ancora quante volte mi sentirò così. Ci sentiremo così. E non so come spiegarvelo, ma, alla fine, questo pensiero delle incertezze mi rassicura. Di non fare sempre la cosa giusta, anzi proprio mai…di essere un po’ quello che sono. Quello che riesco.

Penny
Sosdonne.com

PS: comunque se mi fossi andata a bere il bicchiere di rosso forse sarebbe stato meglio?

7 comments on “Il ballo delle incertezze.”

  1. Bello quando sono fagottini….bello però anche vederli crescere e distruggere le nostre già fragili certezze. Ogni tanto però ci concedono una briciola. Quella briciola è una perla.
    Un abbraccio

    • Grazie, mi sento così stupida, a volte, ma poi penso, sono io questa e non mi devo vergognare, così oso. Credo di farlo per me stessa…Penny

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