Ogni presentazione cresco un po’. Mi porto a casa osservazioni, volti, abbracci, ma, soprattutto, occhi.

Alcuni si scrutano con curiosità per la prima volta, altri luccicano per l’emozione, dato che il nostro incontro è iniziato tanto tempo prima. È iniziato segreto, digitando parole sulla tastiera, perché ci sono momenti in cui non riusciamo a dire nemmeno a noi stessi ciò che sentiamo. Allora, scrivere, a volte, comunicare a un altro, ci aiuta a dare luce a un sentire che altrimenti avremmo continuato a nascondere.

Ieri, si è ribadito, che questo è un luogo di non giudizio. Ci siamo ricordate che essere meno giudicanti con gli altri ci aiuta ad esserlo meno con noi stesse.

Ci siamo ricordate che possiamo avere un padre una madre, che non ci hanno capito, ma che possiamo andare oltre. Ricominciare da lì.

Ci siamo ricordate che in qualunque posto noi ci troviamo, dentro a qualunque storia, noi siamo gli artefici del nostro destino. Solo noi possiamo cambiare le cose.

Ci siamo ricordate che non dobbiamo dimenticarci di desiderare, che se lo facciamo prima o poi la vita ci chiede il conto. E, spesso, è molto salato.

Ci siamo ricordate che possiamo deludere anche le persone a cui vogliamo bene, ma se non farlo presuppone rinunciare a noi stesse, la scelta è chiara. Dobbiamo salvarci e accettare di non compiacere. Pazienza, noi valiamo di più.

Ci siamo ricordate che i progetti sono importanti. Anche quelli in cui gli altri non credono. Bastiamo noi, a volte, e la forza che abbiamo dentro. Che c’è, in alcuni casi è solo sopita.

Ci siamo ricordati che i figli non sono tutto. Nemmeno l’amore lo è. E che ci sono tante cose che possono rendere una persona felice.

Ci siamo ricordati che dare la colpa non serve. Nemmeno a noi stesse. Rimboccarsi le maniche e ricominciare. Questo è importante.

E ritornando al ricominciare e agli occhi, nonostante la bellissima giornata di ieri, non posso dimenticare quelli di Josephine, trovati per caso, in una delle tante immagini che girano sulla rete. Gli occhi di una donna che voleva ricominciare, appunto.

Erano occhi persi suoi. Chissà cosa c’era dentro, mi chiedo. Chissà cosa hanno visto. Cosa hanno provato.  Quali violenze hanno guardato. Cosa hanno sentito. Perché anche gli occhi sentono. Come il cuore. E alcuni rimangono vuoti, per sempre. Non come i nostri che hanno sempre nuove possibilità, che si specchiano l’una nell’altra e si riconoscono.

Siamo fortunate, lo sapete vero?

E allora, ieri sì, ci siamo ribadite che abbiamo bisogno di incontrarci noi donne. Di raccontarci le nostre storie, per non sentirci inadeguate, e io, aggiungerai, pensando a Josephine, e, alla donna morta senza un nome con il suo bambino accanto, che dobbiamo continuare a sostenerci e a difenderci.

Continuare a prendere le parti giuste e sentire la sofferenza delle altre.

A uscire dal guscio e dal nostro corto circuito e sentirci sorelle sul serio. Di tutte le donne del mondo.

Solo così, sapete, guardando oltre noi, oltre i figli, il marito, il compagno che abbiamo, o la nostra quotidianità, possiamo dare un senso alla nostra vita.

Che sappia di sorellanza. E ci porti in salvo. Tutte.

Grazie amiche mie.
Penny
#ilmatrimoniodimiasorella.

PS: non si sentano esclusi gli uomini che coraggiosamente bazzicano di qui.

PS: l’immagine porta parte dei doni che ho ricevuto ieri. Un messaggio in bottiglia prezioso. Una collana, un albero, un incenso che accenderò per Josephine e le altre, donne come noi, madri come noi che hanno cercato di ricominciare.

Prendersi cura le une delle altre. Sono con voi. Ma lo sapete.

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