Sono andata a prendere la piccola al campo scout. Questo è l’ottavo anno che il primo sabato d’agosto recupero la girl. L’altra è partita per la route ieri.

Non sono mai entusiasta di partecipare a queste giornate.

La strada solitamente è lunga, le famigliole felici mi innervosiscono ( la felicità manifesta è un problema esclusivamente mio!). Non ho la macchina e devo scroccare passaggi, il che è imbarazzante, ma poi si fanno delle belle chiacchierate.

In più c’è da preparare cibo, una valanga di cibo, per non sentirsi una madre pessima. Tra l’altro non sono una cattolica convinta, quindi mi eviterei messa e preghiere.

Quest’anno, per la primissima volta, verso l’undicesimo giorno dell’assenza delle girl piccola, ho iniziato a sentire la sua mancanza. Come una fitta allo stomaco. Una mancanza piacevole, direi. Ero contenta a pensarla lì, in mezzo ai suoi coetanei, a giocarsela un po’ senza di me, ma nello stesso tempo non vedevo l’ora di incontrarla. Ed era bello pensarla e avere il desiderio di rivederla.

I figli devono mancarci e noi mancare a loro. È anche dentro alla mancanza che si costruisce la relazione. Il pensare e il pensarci lontani aiuta non solo a “vederci” ma a comprenderci.

Comunque, lo sapete, quando sono andata a prenderla ho pianto. Mi sono proprio commossa. Uno di quei pianti lunghi e ristoratori. “Mi sei mancata” le ho detto ed era la verità. Lei mi ha chiesto di suo padre e io ho risposto quello che c’era da rispondere. Poi ci siamo tenute strette, l’altra girl vicino, commossa pure lei, anche se non voleva darlo a vedere.

Siamo noi tre, ho pensato. Siamo famiglia. Non c’è dubbio. Ai padri e alle madri separate dico: non abbiate paura.

E, mentre la girls, era tra le mie braccia pensavo che ogni partenza ha un valore. Ogni aderenza a un gruppo che sia scoutistico, di volontariato, parrocchiale, sportivo, ha un valore enorme in questa società di uomini e donne sole. Ché fa comodo averci così.

Nella solitudine siamo più fragili e quindi più condizionabili.

E poi, i nostri adolescenti, hanno un bisogno gigante di uscire da se stessi, di guardare il mondo attraverso gli occhi dei loro pari, hanno bisogno di cucinare da soli, di non avere tutte le comodità di cui, ogni giorno, li colmiamo.

Di sentire che sono “soli” ad affrontare, una solitudine che, in questo caso, fa bene.

Devono sentire la mancanza degli oggetti per capire che non sono indispensabili, la mancanza delle persone, per capire che l’altro, padre, madre, fratello o sorella, non sono scontati.

Devono aver voglia di tornare e per farlo bisogna lasciarli partire.

E poi, c’erano le montagne intorno, il fiume che scorreva accanto. L’aria fresca. C’era il panorama. Quindici giorni senza tecnologia, senza intromissioni da parte nostra. “Cosa fai. Come stai. Hai mangiato”.

Senza controllo, quel controllo che fa male.

Nonostante ciò, sono cresciuti. Hanno continuato a respirare, a vestirsi, a lavarsi, ad amare, anche se non c’eravamo noi a dirgli come dovevano farlo.

Ecco, poi c’era il gruppo. Sentirsi parte di. Se non collaboro, non partecipo, non sono “dentro”, il gruppo fallisce. Finalmente esiste un “noi”. Un pensare all’altro. E, a me, in questo mondo, in cui l’unica preoccupazione sembra quella di salvare il proprio orticello, il mio è più bello del tuo, mi appare come una grossa possibilità.

Un “noi” fuori dalla famiglia. Quella famiglia che, a volte, si fa tentacolo.

Parliamo spesso di figli (e non solo di adolescenti) “sdraiati”, egoisti, bambocci. Incapaci di gestirsi le frustrazioni. Ma le frustrazioni vanno create e devono essere gli adulti a farlo.

Non potranno essere ragazzi felici se la strada è scritta e spianata. Se non si sentiranno soli, se non capiranno che, nel mondo, c’è chi quella fame, sentita in un giorno ad un campo, la percepisce tutta la vita.

Non saranno felici se noi siamo sempre presenti. Se non desidereranno la torta di mele, i baci di dama, le lasagne, non capiranno il valore delle mani che preparano e del tempo dedicato.

Devono aderire a qualcosa i nostri ragazzi, uscire da noi, e farlo il prima possibile, per stare bene nel mondo. Devono sentirsi parte. Lottare per qualcosa: i delfini, l’altro, la fame, l’ecologia.

È dentro alla nostra assenza che costruiranno i progetti per la loro presenza nella vita.

Non abbiate paura, la casa è il luogo in cui risiede il cuore. L’amore non è uno spazio fisico, un luogo di raccolta, è ciò che ereditano nell’anima.

La casa è laddove lasciamo spazio perché possano esistere altre cose. Entrare nuove persone.

Devono partire i nostri ragazzi per aver voglia di tornare. E quando torneranno saranno altri e potremmo imparare ad amarli di nuovo.

Hanno voluto che mangiassimo da sole, quel giorno. Noi tre, che siamo famiglia. Senza altri ragazzi o genitori. Nonostante la mia cucina non fosse un granché. Il fiume accanto e le montagne a farci da sfondo. C’erano cose da dire, mi hanno sussurrato.

Come ad esempio, che i figli possono andare lontano. Molto lontano. Dove non li vediamo più. E che noi saremo qui. Quando vogliono tornare.

E loro saranno felici.

Penny

10 comments on “Non li vogliamo “sdraiati”? Facciamo in modo che partano. Campi scout, volontariato, associazioni, sport.”

  1. Ho faticato tanto nell’affidarli ad altri, quando erano molto piccoli. Poi me lo sono posto come un traguardo e anche come un dovere, perchè di fatto è dovere di un genitore lasciar andare, fare spazio, mettersi di lato.
    Sono felice di essermelo imposto e di aver così offerto loro il mio lasciapassare: sono adesso due creature piene di entusiasmi, belle da ascoltare, vibranti.

    • Che bello…sapere quello che è possibile. Sapere che lo spazio della libertà è quello che fa crescere…dà speranza. Tanta. Bacini. Penny

  2. Aspetto il rientro di mio figlio adolescente, poco più di un bambino, dal suo campo scout. E’ partito in rotta con tutta la famiglia, dopo aver litigato con la sorella, e poi con me. Nutro la speranza che il fare gruppo del campo scout (lavorare per il gruppo, se no si fallisce) riesca a trasferirlo alla famiglia e, dopo crescendo, alla società in cui si troverà a vivere. Il fare per sé e per gli altri, dare il proprio contributo perché il suo posto nel mondo abbia un significato. So bene che dieci giorni di campo non cambiano i ragazzi. Ma un seme lo depositano. E poi continueremo il grande lavoro di farlo crescere bene, farlo passare dall’egoismo infantile alla persona sensata e altruista che vorrei in mio vedere in mio figlio.

    • Sai, prima che partisse la grande anch’io ho litigato come una matta con lei. A volte serve. Passaggi necessari, anche se si sta malissimo. Tutto serve per crescere. Tutto, anche quello che fa male. Ti abbraccio. Penny

  3. Questa estate io lavoro…..con un contratto a tempo determinato le ferie praticamente non esistono e noi ci siamo già fatti un gran regalo con una settimana all’estero a inizio luglio, una vacanza ‘on the road’ che sognavo da tempo con mio figlio. Lui sta con la nonna , ogni giorno, una nonna molto anziana e smemorata anche se ancora energica e indipendente. Le prima settimane ho sofferto per non esserci ad aiutarlo, a mediare un adattamento alla vita di campagna, spartana e solitaria. Poi all’improvviso tutto inizia a funzionare, loro due si parlano e collaborano, i piatti cucinati dalla nonna improvvisamente vanno bene, lui si organizza con qualche lavoretto di bricolage, mi chiede un pezzo di compensato e bombolette per dipingere. Ho capito che ha bisogno di queste lunghe noiose giornate in campagna , e piano piano tira fuori qualcosa di sè (complice qualche giornata di sequestro del cellulare…..).
    La mia assenza e lo spazio per allungare lo sguardo, gli stanno facendo bene. 🙂

    • Che meraviglia! Tu sei una madre speciale. Una donna speciale. Sì, hai ragione, hanno bisogno di noia. Di tempo lungo. Di non fare niente. È lì che nascono i progetti e le idee. Non serve fare cose ma mettersi in ascolto. Poi la campagna …la nonna…tutto che fila. Una bella possibilità.
      Mi sei cara Silvia. Ti penso sempre. Penny

    • Tu lo sai bene, mi sa. Non sempre è necessario esserci in presenza. A volte ci siamo ma non veramente. Un abbraccio.
      Andate un po’ in vacanza? ?

      • Abbiamo già fatto solo una settimana, al mare vicino Roma, di più proprio non si poteva fare come budget , ma è stata forse la mia vacanza più bella

  4. E il ritmo dei passi ci accompagnerà
    là verso gli orizzonti lontani si va… 😉
    la famiglia scout e voi 3 che siete famiglia! vi immagino al centro di un cigaliga

Rispondi