È che a volte le disgrazie non hanno una spiegazione. E non ci sono parole che si possono dire.

La vita finisce, è un attimo, punto.

Una mattina ti svegli, magari tiri su tuo figlio per portarlo da qualche parte;  organizzi la tua giornata, metti insieme appuntamenti e lavoro. Sali in macchina e accendi la radio, ché la musica ti é sempre piaciuta.

La strada è conosciuta. È memoria, potresti farla ad occhi chiusi.

Il tuo cervello macina pensieri, tuo figlio, seduto dietro, gioca, fa volare agli aeroplani, rincorre mostri, ti parla. Tu rispondi, poi ti rimetti a pensare.

Pensieri semplici, quelli che facciamo tutti. Liti da dissipare, amici da incontrare. Promesse da mantenere.

E poi, succede.

Non ci sei più.

La tua vita finisce la vigilia di un ferragosto. Nella tua Genova.

Una città piegata più e più volte.

Che ricomincia da sè, sempre.

Una città difficile, dice qualcuno, piena di contraddizioni, ma così bella.

Un sali e scendi. Come la vita.

Nella morte siamo soli. Come lo sono spesso gli uomini.

La morte è la cosa piu democratica che esista. Non risparmia nessuno.

E quando arriva, all’improvviso, e non ci sono risposte del tuo essere lì, sulla sua strada, su quel ponte in cui ti ha aspettato; quando a morire sono uomini, donne e bambini della tua città, non puoi che sentirti partecipe del dolore. Non puoi che chiederti ancora e ancora il perché.

Noi siamo le nostre città,  nè attraversiamo i  ponti nè percorriamo le strade. E ci pensiamo al sicuro. E dovremmo essere al sicuro.

Genova ci guarda dal suo mare. E piange. Piange i suoi morti. Una canzone di De Andrè ci accompagna in questo triste viaggio.

Stasera piango, lontano da Genova, dal mio mare, dai miei vicoli, dai suoi abitanti a cui sento di appartenere.

Da quel ponte su cui sono passata un’infinità di volte. Di ritorno dalla mia infanzia, da ragazza, da donna e da madre.

Piango e sono impreparata. Come si è impreparati di fronte a tragedie di questo tipo.

Eppure Genova saprà stare vicino ai suoi morti. E a chi è sopravvissuto. Saprà ripartire. Lo farà ancora. Ma non dimenticherà. Sarebbe da stolti farlo.

Oggi anche il mare si ritrae di fronte al dolore. E di fronte al dolore, fa l’unica cosa di senso, si fa silente e tace.

Penny

6 comments on “La mia Genova. Il dolore.”

  1. Tristezza amara.
    Quante tragedie di questa portata vivremo ancora in Italia!?
    Il destino colpisce il singolo che venga a trovarsi in quel punto in quell’istante. Ma la tragedia non è dovuta al destino e non colpisce la singola persona.

    • Ci siamo tutti dentro, in un modo o nell’altro, seguono domande all’incontro col destino. E la vita si manifesta in tutta la sua precarietà. Io non ho risposte, se non che bisogna proteggerla. Bacini Penny

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