Si dice sempre che un insegnante sia autorevole quando è capace di mettere delle distanze con le famiglie. Si dice che oggi i genitori siano ingerenti rispetto alla scuola. Si dà del “Lei” e si ottiene rispetto, anche questo lo si pensa.

Di certo non si può generalizzare, ma niente è così lontano dal mio modo di pensare la scuola.

Ho sempre dato il numero di telefono ai “miei genitori” e non ho mai sbagliato una volta a fidarmi. Ho sempre dato del “Tu” e ho ricevuto rispetto e attenzione, perché non è il “Lei” che ci garantisce una riuscita nella relazione.

È ascoltarsi, non essere giudicanti. È mettersi nei panni dell’altro.

Essere genitore è difficile, anche essere insegnanti è un mazzo, in una società come questa, precaria e complicata. Competitiva, ché se non si arriva tra i primi te lo sbatte in faccia sempre. Se non sei collocato socialmente, te lo sbatte in faccia sempre. Se hai un cedimento, qualcosa che non va, se le tue performance non sono adeguate, te lo sbatte in faccia. E tutto ciò che non viene considerato nella norma, ovvero diverso, fa paura. Una paura che ci allontana, invece di avvicinarci. Così, costringiamo la diversità dentro alla norma, come fosse una sicurezza.

Allora, capita, che gli insegnanti facciano verifiche, mettano crocette e diano voti, per non affrontare il terreno difficile delle domande che richiedono risposte attente: perché quel ragazzo si comporta così? Perché non studia? 0 non apprende? Cosa gli frulla nella testa? D’altro canto, le famiglie, che si sentono inadeguate, cercano nella disciplina e nei voti la soluzione alle loro ansie.

Io credo nella terra di mezzo. Quel luogo in cui le persone s’incontrano, perché l’apprendimento non può prescindere dalla relazione. Non può.

A volte, come insegnante, ho avuto delle ingerenze, ma è bastato spiegarsi, non entrare a gamba tesa dentro alle accuse. È capitato che i genitori, di fronte ad alcune incapacità dei loro figli, mi abbiano aggredito, ma è pur vero che, il più delle volte, succede quando entrambi non abbiamo saputo attraversare quel terreno fertile che è la relazione, in cui siamo persone, prima di tutto, spinte verso uno stesso obiettivo. Fare in modo che i figli di tutti stiano bene, imparino, siano interessati al mondo e agli altri.

Sapete che sono stata male. Mi sono arrivati tanti messaggi da quelli che chiamo “i miei genitori”. Quelle cose che non si fanno. Nelle loro parole c’era delicatezza e interesse sincero. Allora ho pensato che tutta questa roba qui, emotiva, se volete, ci fa bene. Che la cura della relazione fa bene a noi, ai bambini o ai ragazzi, e ci fa sentire parte di qualcosa. Di quella comunità che dovrebbe essere ogni scuola. 

Una mamma mi ha scritto che la sua bimba ha notato la mia mancanza, un’altra mi ha mandato una foto, con un’altra ancora ci siamo confrontate a lungo su un tema che ci stava a cuore, l’ultima, ieri, mi ha scritto: “Ci manchi, il mio bimbo ha sognato che tornavi a scuola, però curati, perché ti vogliamo tutta intera”.

Ecco, io ho voglia di tornare e essere come mi vedono. Capace di capire non solo i bambini, ma anche i loro genitori. Di capirci, insomma.

È così brutto da dire? Sarò una maestra più volubile, meno capace a insegnare le discipline se curerò le relazioni? Io credo di no. Credo che, per quanto poco se ne parli, quella capacità emotiva, nella scuola di oggi, sia necessaria per formare gli uomini di domani.

E renderci docenti preparati.

Le materie bisogna saperle trasmettere e non lo si fa quando s’impartiscono le lezioni e l’altro viene messo solo in una condizione di ascolto, ma quando quella terra di mezzo, ovvero la relazione, esiste.

Io parlo, tu mi ascolti, ma, poi, ascolto le tue istanze, cosa hai da dire e magari modifico il tiro, in un “gioco” di ritorno e scambio. Solitamente è proprio questa parte che manca.

Allora, ritornando alle crocette, ai voti, alle pagine di operazioni in cui essere gettati o di castigo, alla marea di compiti, ai quaderni pieni zeppi di schede, siate vigili.

E spingete affinché si possano costruire delle relazioni “care”. Non c’è niente di male. Anzi, i ragazzi impareranno di più e meglio e noi saremo insieme.

Come un grande esempio.

Penny

#ilmatrimoniodimiasorella

8 comments on “Genitori e insegnanti. Quella capacità relazionale necessaria.”

  1. si può fare domanda per averti come maestra? 😉
    io alle insegnanti visti i miei esempi positivi do sempre fiducia. ma quello che vedo è tanto tanto giudizio, come se noi genitori avessimo le competenze di educare i figli e insegnargli a studiare e stare in società. Ma noi non abbiamo studiato per quello, non abbiamo studiato neanche per essere genitori in realtà.
    Eppure spesso ce ne dimentichiamo.

    • Hai ragione. Pulisci del giudizio, quando riesci, e tieni solo quello che ti serve come genitore. Dai fiducia sempre, anche quando viene delusa, alla fine, paga. ❤️

    • Per questo penso sia importante parlarne. Raccontare esperienze positive, che ci sono e danno speranza. Grazie Giovanna.
      Penny

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