La verità è che dobbiamo uscire dalle case di cristallo. Dalle sicurezze. Dalle costrizione. Non trincerarci dietro a frasi del tipo:”Io ho una famiglia, non ho tempo, non posso”.

Ce l’hanno anche gli uomini, una famiglia.

E se ci pensate bene, se vi fermate un attimo, non la pronuncerebbero mai una frase del genere. Non la penserebbero neppure. Non rinuncerebbero a un incarico, a una riunione, a un impegno. 

È una forma mentale, la nostra. E pure la loro.

Non si tratta di cosa è più importante. Lo sappiamo bene noi donne quali sono le nostre priorità. Quanto sono importanti i figli e l’amore. Lo sappiamo bene perché tutte le nostre decisioni si confrontano con quel “prima”. Perché non solo alcuni uomini ce lo ricordano, ma anche le amiche e, a volte, le madri. “Ma sei ancora al lavoro?” ci chiedono.

Ci richiamano in tanti dentro alla casa di cristallo.

A verso un uomo si fanno le stesse domande. E allora, rinunciamo, scappiamo a casa perché c’è una cena da preparare, dei ragazzi da accogliere. Anche il lavoro è scelto, spesso, aggiungendo un “prima”. Se non concilia con la famiglia: abdichiamo.

Un uomo non lo fa. 

È una forma mentale la nostra, è già deciso in anticipo quando siamo nate. I primi passi. Le prime tutine. Il rosa di cui ci edulcorano la vita. I soffitti e i muri di cristallo. E se non mettiamo al primo posto la famiglia, che solo a dirlo mi fa sentire uno schifo, ci sentiamo delle donne terribili. Poco attente. Poco presenti. Poco.

È una forma mentale la nostra. Anche la loro.

La stessa che non ci fa accantonare i desideri e i sogni, a volte. Per un bene più grande: la famiglia. Sapete che cosa vi dico? È solo un grande stereotipo. Un falso. Una scusa. Un invenzione degli uomini. Una gabbia. La nostra casa di cristallo.

Non siamo donne acide o mancanti se, ad esempio, scegliamo di non essere madri. Non siamo egoiste. A volte si è più egoisti nel decidere di fare una nidiata di figli, quando pensiamo che si debbano riempire dei buchi, dei vuoti, una solitudine.

E non siamo cattive madri e donne autoreferenziali se abbiamo bisogno di emanciparci attraverso un lavoro che ci soddisfi, un interesse, la partecipazione al mondo.

Non si tratta di scegliere tra la famiglia e la carriera, la famiglia e i sogni. Gli uomini non lo fanno. A loro nessuno lo chiede.

Se lavorano tanto, se si impegnano, se ritardano per una riunione, se aspirano a qualcosa e non preparano la cena, se non vanno alla assemblee di classe dei figli, nessuno insinua che siano dei padri cattivi e loro non si fanno problemi. Sanno che ci sono le madri. Cosa che non succede per noi. Su di noi pesa: “Non fai abbastanza per la famiglia”.

Così corriamo come delle pazze per tenere insieme tutto. Figli. Lavoro. Passioni.

Dobbiamo uscire, sfondare la casa di cristallo.

Oggi penso alle candidate americane con gioia, erano quasi 300 donne, ne sono state elette 99! Novantanove donne è un numero stratosferico. Il cambiamento inizia anche da loro. Qualcuno l’ha chiamata l’onda rosa. Novantanove donne che avranno un marito, dei figli, o forse no, ma che stanno provando a fare la differenza. È più che una speranza.

Ma queste donne? Queste donne, dico io, vorranno meno bene ai loro figli? Al marito o compagno che sia? E non è necessario candidarsi o fare grandi cose, dobbiamo solo non perdere i contatti con il mondo e non farci dire dove dobbiamo stare e cosa dobbiamo scegliere.

Sapere ciò a cui aspirare e cercare di ottenerlo.

Le nostre decisioni non possono riguardare solo noi, ma devono anche riguardare altre donne. È questo che dovremmo ricordarci sempre. Non farci fuorviare dal fatto che la famiglia è tutto e prevede ogni sacrificio.

La famiglia siamo noi. Va coltivata, certo. E deve essere terreno fertile per sviluppare coscienze e persone consapevoli. Non può e non deve essere autoreferenziale. Non può e non deve limitare i sogni. Soprattutto se riguardano i sogni solo di una parte. 

Spero di essermi spiegata. Spero che non abbandoniate una riunione importante, un interesse, un piacere che vi faccia crescere, per correre a casa a girare il sugo nella pentola. Spero che ogni volta scegliate voi e l’impegno che vi siete prese o il piacere che avete scelto.

Spero che abbiate un compagno, un marito, un figlio che vi dica: “Faccio io” e che non vi “rimproveri” se la pasta è scotta e se non avete messo “bene” i piatti nella lavastoviglie. Anzi, che ci pensi lui senza che dobbiate chiederglielo. 

Perché non siamo indispensabili per certe cose. Per altre, però, sì. Essere felici e lasciare il mondo migliore di quello che l’abbiamo trovato. In modo tale che le pareti in cui scegliamo di vivere non siano più di cristallo, ma solide. E lo siano anche per i nostri figli, se ne abbiamo. Così solide da essere prese ad esempio.

Perché il mondo ha bisogno della nostra interezza. Noi abbiamo bisogno di spingere le nostre aspirazioni. Non basta essere madri dei nostri figli.

Dovremmo esserlo delle donne del mondo. Esserlo solo dei figli non basta. 

Penny

#ilmatrimoniodimiasorella

Ps: spero tanto mi abbiate compreso.

9 comments on “Famiglia. Quando il sacrificio è uno stereotipo di genere e riguarda solo le donne. Uscite dalle case di cristallo. Siate voce. Oggi di più.”

  1. …e sì che ti abbiamo capito Penny cara, e la pensiamo come te e vorremmo cambiare le cose come dici tu. Un grande nodo in gola a leggerti oggi, un po’ di occhi lucidi, però sì, dobbiamo far in modo che le cose cambino per noi, per le nostre figlie e per tutte le altre donne che verranno dopo di noi.

    • Dovremmo concederci di non arrivare ovunque. Dare delle priorità che prevedano lo stare bene, che ci mettano al centro. Invece…??‍♀️?

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