In questi giorni penso spesso alla bellezza.
Mi sono chiesta quando nasce in noi il desiderio di piacere. A quanti anni capiamo che il corpo può essere vetrina, mezzo, uso.

A volte, lo sappiamo, diventa dote.

Ho provato a tornare indietro a quando ero piccola. Difficile ricercare la femminilità in me, ero una bambina goffa, pure con la gonna.

A dir la verità, io che non mi sentivo mai all’altezza, il corpo l’ho nascosto. Maglie larghe, pantaloni. Gli occhi degli altri vincevano sempre, erano difficili da sostenere. Meglio passare inosservata.

Poi ,sono cambiata. Ho capito che potevo mostrare. Che potevo essere bella

Mi sono accorta di avere gli occhi verdi quando me lo ha detto un ragazzo. Avevo 22 anni.

Ho tagliato i capelli. Sono dimagrita. Ho accorciato le gonne. Ho conquistato lo sguardo dei maschi. Eppure non mi bastava.

Oggi guardo le mie girls adolescenti. Pensano la stessa cosa. Cercano quegli sguardi maschili, come unica conferma.

Forse accade prima che nasciamo. Accade negli scaffali dei negozi, nelle pubblicità. Nei libri. Nel potere.

Ci indirizzano lì, su quella strada. Verso ciò che ci si aspetta da noi.

Nasce nell’idea che altri hanno di ciò che desideriamo. Come se fosse insito nella nostra natura desiderare di essere belle, di piacere. Di essere scelte.

Il corpo ha tante funzioni, alcune donne  attraverso il cibo, i vestiti larghi, nascondono la propria sessualità. Forse, pensano, in un certo senso di proteggersi. E chissà che non sia così. Conosco bene quelle sensazioni.

La paura di piacere.

Altre lo usano per raggiungere scopi e obiettivi, basta guardarsi in giro per accorgersi che strumento di “illusione di potere” sia l’immagine.

In realtà è qualcun altro che ha dettato le regole, tanto tempo prima, e il nostro corpo è in mano ad altri. Altri che pensano di poterne disporre a proprio piacere. O in funzione del proprio piacere.

Penso alla bellezza. Su di me, passati da un pezzo i 40. Oggi mi sento bella.

Quando penso che la bellezza è il mio sguardo di consapevolezza sul mondo. È il mio lavoro conquistato. È la scrittura. È la donna che sono.

E questa bellezza ha poco a che fare con il corpo, con gli ammiccamenti. Non c’entra con i fiocchi rosa, i buchi alle orecchie, né con i brillantini o il resto.

C’entra con quello che sono. E credetemi non è retorica la mia. I progetti, la loro realizzazione, mi portano a sentirmi bella per davvero.

E quello sguardo maschile, quel piacere a tutti i costi, lo lascio volentieri ad altre.

Io mi vivo il mio tempo. Tutto. Fino in fondo. Non ne voglio sprecare nemmeno una briciola. E, soprattutto, non voglio che nessuno oltre me decida del mio corpo e della mia anima.
Che poi, lo sappiamo, sono la stessa cosa.

Che poi, lo sappiamo, sono millenni che ci indirizzano la strada. Ci condizionano. Ci dicono che la bellezza per noi donne è importante. E ce lo fanno credere.

Ogni tanto mi chiedo cosa saremmo state senza quei condizionamenti. Forse saremmo diverse. Forse avremmo perso meno tempo nel cercare di essere altro.

E quella bellezza avrebbe parlato di noi. Non del bisogno di piacere agli uomini, ma di noi.
Delle donne che siamo.  Libere di essere.

Penny

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