Quando hai dei figli adolescenti succede che dimentichi il corpo. Dimentichi, perché loro sfuggono, cercano distacco e spazi di non ingombro.

E se qualcuno non te lo ricorda, non ti ricorda cosa vuol dire stringere a sé, come ci si sente dentro ad un abbraccio, semplicemente lo dimentichiamo.

Chissà perché quando siamo adulti impariamo così bene a prendere le distanze dagli altri. Ci viene insegnato a comportarci in un certo modo, e cose che da bambini ci erano concesse, come correre e buttarsi a braccia aperte sull’altro, non fanno più parte del mondo degli adulti.

Solo quando siamo innamorati siamo più liberi, per questo, forse, siamo così felici.

Chi è diventato genitore sa cosa si prova nell’avere un cucciolo tra le braccia. L’ odore, la tenerezza, la  bellezza della vita sta tutta lì, in quell’attimo di vicinanza.

Ieri sono entrata dal mio solito fruttivendolo, in coda c’era una donna insieme a una ragazza che avrà avuto 30 anni, forse di più, difficile dirlo. Il tempo su di lei sembrava un po’ sospeso.

Era magrolina, con un caschetto nero e una fascia tra i capelli. Appena sono entrata mi si è subito avvicinata e mi ha detto: “Sciao, come stai?” strascicato un po’ le parole come fanno i bambini piccoli e forse un po’ lo era piccola, ferma a quell’età in cui tutto è meraviglia e stupore, in cui non ci sono filtri tra te e il mondo.

Dopodiché ha elogiato la mia giacca: “Che bella!” ha detto sempre con quello sguardo sorpreso e felice.  Poi ha commentato le mie scarpe, assolutamente anonime. Eppure, a quanto pare, tutto ciò che mi apparteneva ai suoi occhi era speciale.

Alla fine, mi ha mostrato le sue di scarpe e anch’io le ho detto che erano belle, così mi si è buttata tra le braccia e si è stretta a me. Mi ha chiesto il nome e io le ho chiesto il suo.

La signora che era con lei, che inizialmente pensavo fosse sua madre, la teneva d’occhio e continuava a dirle di fare la brava. Allora, appena sentiva il suo monito, si staccava da me, si irrigidita, cambiava espressione. Ma quando la signora, si girava di nuovo mi stringeva furtiva in un abbraccio, forte forte, come fosse la cosa più naturale del mondo.

E, ieri, dentro al mio fruttivendolo io e lei ci siamo incontrate.

Mery, così si chiama la ragazza degli abbracci, mi ha salutato con un sorriso mentre andava via e io mi sono chiesta perché.

Perché sia così difficile la vicinanza, perché, spesso, siamo attratti dalle persone tutte d’un pezzo, da quelle capaci di mantenere le distanze, altezzose, rigide. Come se tutto ciò fosse un traguardo, un po’ come la magrezza.

Perché, invece, non siamo attirati da chi è capace di commozione, di sentire che esistiamo dentro a qualcosa, chi è capace di lasciarsi andare e, perché, dopo anni di matrimonio o di relazione, pensiamo che sia normale non abbracciarsi più, non avvicinarsi più.

Cosa ce lo faccia credere mi è oscuro. Forse mi è oscuro perché ho la fortuna di fare un lavoro in cui i bambini, ogni santo giorno, non si dimenticano di corrermi incontro e abbracciarmi, come avessi una calamita.

Mi corrono incontro, mi stringono e chiedono: “Me lo dai un bacino?”.

E lo fanno anche i maschi di avvicinarsi, con più cautela, mi prendono la mano mentre sono in fila, oppure appena entrano a scuola sorridendo mi dicono: “Ciao maestra, sono arrivato”.

Allora io li tiro a me. Alcuni sono blocchi di marmo, altri si lasciano andare. Solo uno ha il coraggio di abbracciarmi e lo fa subito, come un’urgenza. Un altro mi “ama”, me lo ha detto un giorno come si dicono le cose belle che non fanno paura, ma questa è un’altra storia.

Credo dipenda da noi, gli adulti, da quel linguaggio sotteso in cui dividiamo il sentire in due categorie: il maschile è il femminile. Lasciarsi andare sembra sia da femmine. Che peccato per i nostri uomini e per noi, ovviamente.

Per fortuna ci sono i bambini e i loro abbracci, per fortuna c’è Mary che non riesce a fare la brava, è più forte di lei. Certo, credo sia importante difenderla, da chi potrebbe usare male questo suo sentire ma, al contempo, credo che quella vicinanza che lei ruba, sia, alla fine, ciò che di meraviglioso esiste negli esseri umani.

E, allora, cerchiamo di rubare anche noi, come sono capaci i bambini, quegli abbracci che sono nutrimento, vicinanza, perdono, tenerezza, comprensione.

Quegli abbracci in cui il confine si perde un po’, in cui non esiste il mio e il tuo, ma una terra di comunione e d’intenti. In cui le pance si toccano, il cuore si sente.

E non importa chi sono io e chi sei tu, ma chi siamo insieme. Una zona di possibilità che ha un odore specifico, che non ha recinti, nessuna barriera, nessun mare in mezzo.

Solo corpi così simili da potersi ricordare, anche solo per un momento, che siamo fatti tutti della stessa pasta.

E, allora, in questo Natale vi auguro di non dimenticarvi come si fa ad abbracciare, perché un po’ è una questione di allenamento. Vi auguro con tutto il cuore di sentire l’altro dentro alla vostra vita. E sarebbe davvero un peccato sprecarla con la distanza.

Prendete i vostri figli adolescenti e sbaciucchiateli, e pure i piccoli che non faranno nessuna resistenza, ne sono sicura. Abbracciate l’uomo che amate, le amiche, vostra madre e vostro padre, la pelle diversa dalla vostra, ma anche quelli come Mery, e quelli che non hanno voce.

Regalate vicinanza quest’anno. Fatelo per voi, per il nostro futuro, per i figli che verranno, dentro gli abbracci c’è la parte più bella di noi. La migliore.

Penny

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