Oggi in classe ho letto un libro ai bambini. Lo stimolo era quello di parlare dei Principi che conosciamo.

Questo Principe era piuttosto sciocco, nulla a che vedere con quello perfetto e azzurro. Si considerava un eroe ma era uno sprovveduto, piuttosto presuntuoso. Finiva nei guai nonostante le indicazioni della principessa. Una principessa amica di un drago che lavorava come maestra.

Nonostante la sua stupidaggine, il principe riusciva a superare tutti gli ostacoli, quindi il suo coraggio veniva riconosciuto dalla principessa.

La fine della storia è identica a tutte le altre storie. Lui torna con la medicina per curare il drago e un bel mazzo di rose per la principessa.

Lei, nonostante lui sia un deficiente si innamora. E vissero felici e contenti.

Ho chiesto ai bambini se conoscevano storie di principi e principesse. Ovviamente ne hanno elencate tantissime.

La trama, in tutte è praticamente identica così come il lieto fine.

Lui è coraggioso, lei in pericolo. Lui la salva. I due s’innamorano.

E se anche alcune storie si declinano in maniera diversa, il finale è quasi sempre lo stesso.

La storia d’amore soddisfa lei e lui.
Con una differenza, lui, solitamente, nello svolgimento della trama ha agito, ha superato ostacoli, ha viaggiato, è stata parte attiva del racconto. Lei, solitamente, è in attesa. Passiva all’interno della trama.

I bambini non sono stupidi. Sono attenti. Capiscono quali sono i ruoli stabiliti.

Abbiamo provato a cercare storie che non finiscono con l’amore. Ne abbiamo trovate a fatica.

Poi, ci siamo chiesti se tutte le persone che conosciamo amano qualcuno.

Una bambina ha raccontato che la nonna ha lasciato il marito ma sembra felice, qualcuno ha detto che i suoi genitori si sono separati ma si vogliono bene, qualcuno ha raccontato che genitori stanno insieme ma litigano tanto, qualcuno che i nonni si sono amati fino alla fine.

Un bambino ha detto che lui un figlio non lo vuole fare, lo vuole adottare. Un paio hanno detto che non si sposeranno perché le donne comandano in casa.

Hanno raccontato la storia di una principessa che proprio non si voleva sposare e quando l’hanno costretta ha trasformato il principe ranocchio.

È stato un bel raccontare. Dentro alle nostre storie c’erano più possibilità. Nessuna valeva più di un’altra. I personaggi erano tutti attivi. Alcune storie avevano il lieto fine, altre no. Alcune storie finivano con l’amore, altre no.

Come facciamo a cambiare la costruzione sociale per cui una famiglia vale più di un’altra? Per cui una ragazza non è necessariamente debole e un ragazzo non si deve preoccupare di metterla in salvo? Come facciamo a far sì che le femmine non siano considerate, come ha detto oggi un bambino, esperte di sentimenti e un maschio no? E il suo compito debba solo essere quello di mostrarsi forte? E quando non lo è? Quale senso di frustazione potrebbe raggiungerlo se venisse lasciato o rifiutato?

Potrebbe minacciare, uccidere o che altro?

Sembra un’altra storia, quella che conosciamo sui femminicidi, ma non lo è. Il filo rosso è lo stesso.

“Ora dico” mi ha chiesto un bambino, “perché un maschio non può piangere? Io piango”.

Come facciamo?

Credo che una possibilità sia quella di iniziare a raccontare la verità, narriamo fiabe, favole e storie che non siano già scritte. Stravolgiamo i finale, rivoltiamo i personaggi.

Troviamo occasioni in cui i bambini e le bambine possano trovare una propria collocazione. Un proprio colore. Un proprio sogno. Un proprio genere. Chiunque siano.

E magari scopriamo che passo dopo passo la storia quella con la S maiuscola si può cambiare. Che le differenze di genere sono un’invenzione del potere. Che non sempre l’amore è la soluzione giusta. A volte non è proprio la soluzione.

Che un uomo non deve per forza salvare, può farlo con se stesso, però e può trattare la materia dei sentimenti come e quanto le donne. Altrimenti ce l’avremo sempre in un piede.

Che la donna non è debole, magari non vuole vivere nel castello ma viaggiare in lungo e in largo.

Che non ci sono regole, oltre a quelle del rispetto. Che possiamo inventarci il nostro finale e pure decidere che ci eravamo sbagliate: il principe non ci piace più. E non è un capriccio.

La vera storia è quella dopo il lieto fine. È lì che succede tutto ciò che è importante. La stessa che decliniamo dentro alle varie sfaccettature e che chiamiamo erroneamente normalità. Che facciamo finta, alle volte, di non vedere e di cui non parliamo.

Forse, se riuscissimo a dare il giusto rispetto a quel finale, e se la tiritera non fosse sempre la stessa, in cui l’amore infiocchetta tutto, con un’unica visione del rapporto tra uomo e donna, forse, la vita avrebbe per tutti lo stesso valore e peserebbe per tutti allo stesso modo.

E magari i principi sarebbero rosa e le principesse azzurre. Oppure no.

Di certo entrambi sarebbero protagonisti attivi della loro esistenza. E nessuno dovrebbe salvare nessuno.

Se non se stesso.

Penny

2 comments on “L’amore non è l’unico lieto fine. Cambiare la narrazione sociale si può. Partiamo dai bambini e dalle storie.”

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