Lui è venuto a scuola in un giorno qualunque a raccontarci la sua storia. Occhi quasi blu.
Noi, di quella storia faremo dei disegni come una speranza possibile.

Non vi dirò il suo nome e tutto quello che leggerete non è stato, ovviamente, raccontato ai bambini, lo racconto a voi perché lui non si è risparmiato.

Lui viene dall’Africa, dice che del suo Paese ci sono cose che gli piacciono e alcune che odia come l’ingiustizia e la violenza.

Dice che se sei omosessuale, ad esempio, o se hai fatto arrabbiare qualcuno, capita che la gente del villaggio si faccia giustizia da sé.

Dice che a causa di questo, molti genitori rimangono senza figli e molti figli senza genitori.

Lui è scappato dal suo Paese perché una mattina si è alzato e un gruppo armato ha fatto fuoco nelle due moschee presenti.

I suoi genitori sono morti subito, così come molti suoi amici e persone che conosceva.

Ha iniziato il viaggio a diciott’anni, con suo fratello e sua moglie, è stato venduto due volte prima di arrivare in Libia ed essere rinchiuso nelle carceri.

Ha mostrato le ferite alle gambe, ha detto che sua moglie è stata presa e violentata continuamente dai libici.

E, anche se adesso si è salvata, la loro storia d’amore si è persa dentro a quelle prigioni e alla sofferenza.

Ha raccontato che dormivano in più di mille persone in una stanze piccolissima, ha raccontato che non si sdraiava mai la notte, poteva stare solo in ginocchio, che le persone vicino a lui morivano come mosche per le torture e per le sofferenze.

Ha raccontato che non mangiava tutti i giorni, ogni tanto arrivava il pane e dovevi trovare il modo di assicurartene un pezzo per riuscire a sopravvivere.

Ha detto che di giorno faceva i lavori forzati e la sua salvezza è stata saper fare l’elettricista.

Un carceriere l’ha comprato per sé e alla fine è riuscito a scappare.

È arrivato per mare in Sicilia.

Come vi ho detto il racconto è stato fatto in minima parte, lui ho letto una lettera che parla, soprattutto, di speranza.

Ha detto che qui ha trovato una nuova famiglia, che a volte la famiglia non è solo quella di sangue, ma ne trovi un’altra, come un miracolo.

Ci ha chiamato famiglia!

Con lui abbiamo parlato di una schiavitù che esiste, di una povertà che esiste, di una guerra che esiste, anche se non la vediamo.

Abbiamo parlato di accoglienza possibile.

A lui i bambini hanno chiesto due cose:
Se durante il viaggio era solo e se con gli altri divideva il suo pezzo di pane.

Una bambina gli ha domandato se ha pianto.

Lui ha risposto che in alcuni momenti ha pensato solo che la vita fosse finita. Poi, è arrivato qui, ha detto proprio così ai bambini, sono arrivato qui e ho trovato una nuova famiglia. E sono stato di nuovo felice, ho sperato ancora.

Perché, questa è una storia di speranza.

E lo so che vi chiederete se è giusto che una maestra racconti certe cose ai suoi bambini di sette anni e so che alcuni di voi non saranno d’accordo.

Ma io credo che è mio compito, è compito della scuola raccontare la verità sulle cose che accadono nel mondo. Fornire storie di speranza dentro alle brutture. Sapere che loro come futuri cittadini, potranno fare qualcosa.

È nostro compito di adulti, di insegnanti, di educatori non fornire nessun alibi per discriminazioni future.

Raccontare la Storia che stiamo costruendo e provare a spingere concetti come l’accoglienza e l’inclusione.

Dire a gran voce che non vengono qui per rubarci il lavoro.

Lui, non ha mai tenuto gli occhi bassi quando raccontava, c’era un silenzio quasi ossequioso dei bambini, un’attenzione rispettosa.

C’erano sguardi di comprensione tra di loro. Da commuovere.

Ho fatto una fotografia, dopo di che ci siamo mangiati le caramelle e ci siamo abbracciati un po’ tutti.

Quella immagine credo che la porterò nel cuore per sempre.

Quel mare che ci divide, quei preconcetti che ci fanno pensare, agire, come uomini stolti, non entreranno nella mia aula.

Di fronte alla disumanità io insegnerò sempre ai bambini che c’è un unico modo per sconfiggerla, ed è quello di essere umani.

Loro, d’altronde, mi insegnano attraverso ciò che dicono, che salvarci è ancora possibile.

Lui, il ragazzo elegante dagli occhi blu, che noi siamo la sua famiglia.

E io ci credo. Credo che, nonostante tutto, possiamo essere una grande meravigliosa salvifica famiglia umana.

Penny

4 comments on “Il migrante e i bambini. Un incontro possibile.”

  1. Grazie, per il futuro che in questo modo stai costruendo per quei bambini e per tutti I nostri…che magari non hanno incontrato maestre illuminate e coraggiose ma che ricevono in casa queste testimonianze per un futuro possibile…

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