Oggi è stato l’ultimo giorno di scuola. Per i maturandi l’ultimo proprio. Poi ci sono gli altri.

Ultimo giorno di materna. Ultimo giorno di quinta. Ultimo giorno di terza media. Ultimo giorno e basta. A settembre si ricomincia.

Passaggi.

La scuola non finisce mai. Lo dovremmo sapere, noi grandi.

Ma quello spazio lì, proprio quello, di tempi e luoghi condivisi, di amicizie nate tra i banchi, di ginocchia sbucciate, di cuori ricuciti da una mano che non è quella di una madre o di un padre, delle prime cotte, di insegnanti amati e odiati profondamente, di lacrime e sangue, risate, lezioni non comprese, saperi acquisiti, diari scelti e massacrati, pieni di scritte e frasi, scoperte, ingiustizie, perdoni, quello spazio lì, non tornerà.

Noi, genitori e insegnanti, dobbiamo continuare a credere nella scuola, soprattutto, quella pubblica.

Crederci con forza, nonostante i nonostante, perché è rimasto uno dei pochi luoghi “sociali” in cui potersi giocare e sperimentare come persone, o per lo meno così dovrebbe essere.

In cui l’individualismo lascia la scena al collettivo, l’io al noi. E quella classe, qualunque essa sia, diventa palestra di vita.

Ognuno, poi, sceglierà la sua strada,
avrà il suo lavoro, la sua famiglia, la sua casa, ma la Scuola rimane luogo di tutti e come tale andrebbe protetto e salvaguardato.

La Scuola è spazio di apprendimenti e non solo.

Si giocano fallimenti e capacità di entrare o meno in empatia con gli altri.

A scuola non ci sono mamma e papà, devo cavarmela da solo, a tre anni come a diciotto.

Devo saper affrontare le ingiustizie, sapere capire quando sbaglio, saper correggere il tiro.

Devo, in poche parole, misurarmi con la realtà e ciò che comporta.

Imparo a capire chi sono e cosa non voglio essere.

A scuola non c’è la mia scrivania, non ci sono le mie cose, devo condividere banchi e tempi, e non sempre i compagni di avventura ci aggradano ma è con loro che camminiamo.

Nella Scuola, quella pubblica, i soldi non comprano le promozioni e questo, a mio avviso è un grande sollievo.

Lavoro su di me, magari cado, ma imparo a giocarmela alla pari, non sono previste scorciatoie. Cosa che, a volte, non succede nel mondo del lavoro, dove conta di chi sei figlio, quanto potere detieni e di che nazionalità sei.

Nella Scuola entra a pieno titolo la Costituzione, anche questo è un grande sollievo, perché ci tutela tutti, ma proprio tutti.

Certo, ci sono tante cose da fare, lo sappiamo come insegnanti e come genitori.

Tante sono le lacune e le mancanze, ma, in nessun luogo come questo i nostri ragazzi si misurano nella relazione con l’altro, imparano a mediare, a contrattare, a cedere, a perdere, a chiedere scusa, a condividere le vittorie, ad aver paura, a soffrire. E non sono soli. E non sono protetti.

Imparano cos’è la vita.

Forse, è questo, più di altro, oltre ai contenuti, quello che dobbiamo salvaguardare: la palestra di apprendimento sociale in una società individualista e divisoria.

Ieri una mamma ad un colloquio ha pianto. Per suo marito che parte la mattina e va vendere in spiaggia tutto il giorno. Per la schiena spezzata e i sei euro all’ora che prende per pulire uffici. Quindici ore alla settimana, un lavoro non in regola.

Ha pianto per le cose che non riesce a fare, per il futuro incerto. Per dove non riesce ad arrivare. Per i trecento euro di affitto e chissà dove vive.

La Scuola è una grande possibilità per lei e, soprattutto, per la sua bambina.

A scuola il colore della pelle lo vediamo, ma non conta.

Non conta se la compagna di banco della sua piccola è figlia di un avvocato.

Entrambe giocano la stessa partita, anche se i posti di partenza non sono gli stessi e di questo noi insegnanti dovremmo sempre tenere conto.

Per il resto camminano a fianco, non una contro l’altra, a fianco.

Vicine. Come dovrebbe essere.

È questo che fa la Scuola, fornisce a tutti le stesse possibilità.

È questo che andrebbe salvato.

Quello spazio sociale unico e irripetibile. E, dovremmo fare in modo che quell’ ultimo giorno di scuola non lo sia davvero.

Che il mondo sia la casa dei nostri figli, che possano camminare ancora insieme, giocarsela alla pari, saper affrontare senza scorciatoie o privilegi, l’esistenza.

Che la pelle si veda, ma non conti.
Che lo stato sociale non conti.
Che le differenze siano risorse e non limiti.
Che ci sia posto per tutti.

Ultimo giorno di scuola. I ragazzi sono in giro. Riempiono le strade. Schiamazzano. Sorridono e sono felici.

Alcuni piangono per la maestra che lasciano, l’amico che non scorderanno.

La Scuola è chiusa. O forse no. Qualcuno la porta con sé e ne fa qualcosa di buono. Di utile.

Di condiviso. Di umano. Di nostro.

Da continuare a salvare. Con ostinazione.

Penny

Buone vacanze a tutti.

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