A volte la vita non va come la immaginiamo. Semplicemente va storta e non sappiamo come raddrizzarla.

Sconfitte che richiamano altre sconfitte.

Una delle domande che mi fate più spesso è: “Come faccio a bastarmi?”.

La verità è che non lo so neanch’io.

Nessuno ci spiega come fare quando la vita va storta e, anche se, a volte, ci impegniamo e tanto, non si capisce come migliorare le cose.

E non si capisce perché le persone parlino solo dell’altra parte, quella che funziona, e non menzionino il resto.

Non si parla della solitudine o della tristezza, ad esempio. E perché no, di quella depressione che ci frantuma.

Forse ne abbiamo tutti paura, forse, ci hanno insegnato a mostrare solo un lato della medaglia, così, quando qualcuno ci chiede: come stai? si aspetta un’unica risposta: sto bene.

Non so se vi è successo, qualche volta, di esservi aperte e aver detto la verità, ovvero, che eravate tristi, che non fate che piangere, che era un periodo di merda.

Lo sguardo dell’altro diventa improvvisamente sfuggente, le parole tendono a sminuire: sarai solo stanca, dicono e se possono cambiano discorso.

È allora che ci sentiamo diverse dal resto del mondo e le domande rimangono sospese. Non possiamo permettercele, così come non possiamo permetterci la tristezza o la paura della solitudine.

Ed è allora che mettiamo in discussione gli occhi con cui ci guardiamo e guardiamo le cose e ci sentiamo stupide per ciò che proviamo.

Perché non sono contenta? Perché non riesco a gioire di quello che ho? Perché gli altri ci riescono?

Non ci riescono. Gli altri sono come noi. Magari qualcuno si sente meno solo perché illumina la stanza quando entra, perché corrisponde ai canoni sociali, perché ha ottenuto dei successi o perché era la prima a scuola, nella gara ad ostacoli, con quel fisico così giusto. Ma è solo un’illusione.

Tutti ci sentiamo vuoti, a volte. Tutti perdiamo il senso e la via maestra. Non esiste nessuno che si senta sicuro sempre, almeno che non se la racconti.

E poi, non ci tocchiamo, una pacca sulla spalla, un braccio che ti stringe, una mano che ti afferra. Quanta vicinanza manca a volte?

Quanto amore dobbiamo elemosinare?

Parlare della tristezza ad alta voce, vuol dire accettare la vita nel suo essere piena.

Non è che gli altri possano aggiustare le cose, ma parlarne, a volte, fa stare meglio. Leggitima il sentire.

Spesso, quando mi sentivo persa oppure sentivo che mi mancava qualcosa, quando non sapevo che fare per la separazione, mi veniva chiesto di soprassedere: non pensarci e vedrai che passa.

Il problema è che quella sensazione lì non passa se non la affronti. Non passa. Non passa nemmeno se fingi, se ti impegni.

L’ho capito con il tempo: io non voglio fare finta di niente, non voglio vivere la mia esistenza in superficie e se sto male vorrei decidere di poterlo dire e vorrei che gli altri mi prendessero sul serio. E mi dicessero: ti capisco.

Non serve poi molto.

Non ho più voglia di avere vicino persone che di fronte al dolore, alla tristezza, fuggono o fanno come niente fosse e questo vale per tutto, per i legami amicali e d’amore, soprattutto, per quest’ultimi.

Non illumino una stanza quando entro, questo lo so, non c’è nessuno più normale di me. Non ho mai brillato in niente. Nessuna medaglia da annoverare. Nessuna miss qualcosa.

E ogni tanto percorro territori bui e la luce la percepisco appena.

Eppure so che la mia esistenza ha bisogno di essere ascoltata. E se qualcuno mi chiede come sto, io voglio essere sincera.

Quindi, non mi basta. Non mi basta stare in superficie. Non mi bastano le persone per cui la narrazione della vita è solo un mostrare la parte che splende.

Non perché l’altro possa cambiare le cose sbagliate della mia esistenza, so che dipende solo da me, ma perché voglio accanto persone autentiche o per lo meno che provano ad esserlo.

Voglio poterle guardare negli occhi, tenerle strette e dir loro: ti capisco. Non c’è nulla di sbagliato in te.

Così, saprei, come in un gioco di specchi, che ci sentiamo soli, a volte, tristi, a volte. E la vita va a rovescio ogni tanto.

Ma, soprattutto, saprei, che non c’è nulla di sbagliato in me.

Proprio nulla. Sto solo provando ad essere autentica.

Penny

2 comments on “Raccontare la verità. Il tentativo di essere autentiche.”

  1. Si hai ragione. Ma non va neanche bene quando alcune persone ti scambiano per il loro secchio della spazzatura buttandoti addosso un mare di negatività che ti fa sentire ancora più depresso. E bisogna anche sapere come e con chi confidarsi…che magari qualcuno finisce pure per gioire delle tue infelicità. Quindi per la maggior parte un “sto bene” è più che sufficiente….

    • Credo dipenda da noi la capacità di saper scegliere cosa dire e a chi. Nel tempo selezionare per me è stato quasi naturale e allora vorrei contornarmi di persone che sanno come sto e non fingere. Altrimenti rischio uno scollamento tra ciò che sento e ciò che mostro. Però ti ho compreso. Un abbraccio forte Penny

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