Ieri sera ho visto un film, la protagonista è interpretata da Lunetta Savino.

È un film lento nella sua accezione positiva, come sa essere lento il dolore. Alla fine della proiezione c’erano l’attrice e la regista.

La storia è quella di una donna e del suo dolore per la morte di una figlia. La storia di una famiglia e delle distanze. Non vi sto a raccontare la trama ma vorrei parlarvi di ciò che mi sono portata a casa.

Succede che, a volte siamo già morte, semplicemente sopravviviamo, attraversiamo la vita senza mai esserci davvero.

A volte succede per un grande dolore, la morte di qualcuno che amiamo, a volte, un tradimento, la perdita di senso, qualcosa che ci consuma piano.

A volte, non c’è un motivo o forse c’è, ma non lo riusciamo a vedere.

Così, non ci guardiamo più, non ci sentiamo più, non ci tocchiamo e tocchiamo più.

Andiamo solo avanti. E dentro alla solitudine pensiamo di esserci da soli.

Allora, ieri sera, mentre tornavo a casa, mi chiedevo quale fosse il modo per uscire da una vita “trascinata” o da “evitamento”.

Non che io abbia delle risposte, di certo ci vuole coraggio, o forse, come ha detto la regista, bisogna sfondare i confini.

Quelli che mettiamo dentro a noi stessi e tra noi e gli altri.

Gli altri, quelli che io chiamo “chiunque” non sono tutti “chiunque”, a volte sono amiche. A volte un amore. A volte le parole di una donna o di un uomo che abbiamo conosciuto. A volte un film, un libro.

Di certo, come accade in Rosa, per iniziare davvero a vivere, dobbiamo guardarci allo specchio, una mattina qualunque, anche questa mattina, amare le rughe, accarezzarci le braccia, le gambe, l’inguine e il cuore, allo stesso modo, perché ci appartengono, sono ciò che abbiamo, inutile cercare altro, si parte da lì.

Dobbiamo sapere di che consistenza siamo fatte per volerci bene.

Dobbiamo entrare in intimità con noi stesse per “permetterci” di esistere.

Spesso, siamo noi le prime a non concederci nulla. Come fanno gli altri a stringerci strette se non gli permettiamo di accedere e sfondare i muri?

Nel film, poi, sono le donne ad aiutare Rosa, perché succede così, nelle debolezze delle altre riconosciamo le nostre, dalla loro forza, attingiamo la nostra.

È così che si impara a non sentirsi sole o a saper attraversare la solitudine che si presenta nei vari momenti della vita, attraverso un’abitudine alla sorellanza.

Insomma, pensarsi simili, sentirsi vicine. Aiuta. Sempre.

Ci sono due pensieri che la serata di ieri mi ha donato.

Il primo è che se siamo disposte a farci sorprendere, la vita sa farlo. Dipende tanto da noi.

Il secondo pensiero è che, a volte, gli altri non ci vedono perché siamo noi a renderci invisibili.

Ecco. Qualunque cosa siamo, non dobbiamo avere paura di mostrarci.

Così, una mattina qualunque, possiamo iniziare a guardarci, vedere la pelle che non è più la stessa, così come il cuore, appesantito magari, stanco, ma pulsante. Vivo. Nostro.

Così, una mattina qualunque, mentre camminiamo, accompagniamo i bambini a scuola o andiamo al lavoro, mentre ci portiamo appresso questo nostro corpo, ci fermiamo un attimo, davanti a uno specchio, una vetrina o che so io, e proviamo a guardarci.

Non accontentiamoci dell’invisibilità. Di un’esistenza di evitamenti.

Dobbiamo essere coraggiose e vivere, non sopravvivere.

Penny

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