Ieri sono andata a yoga, per la seconda volta in vita mia, non so bene perché, io sono sempre stata una da movimenti rapidi e sudate. Volevo uscire dalla palestra con quella sensazione di essere soda e aver perso qualche etto.

Non per essere figa, forse anche, ma per buttarmi senza sensi di colpa sulla pizza, ad esempio?.

Però, non sono una da grandi fatiche, invidio le donne che nuotano e corrono, le invidio da matti, ma non fa per me. Troppo pigra!

Forse le cose non si scelgono a caso, anche se, a volte, sembra che sia così.

Comunque, quando sono entrata a yoga ho avuto la sensazione di una porta temporale. Il rumore della scuola, della strada, della vita, è rimasto chiuso fuori.

La maestra parlava sottovoce e diceva: “rilassatevi”. E io avevo male ovunque e pensavo a come cazzo si faceva a rilassarsi e a cosa avrei preparato per cena, alle girls, alla spesa eccettera.

E poi, ogni tre per due, ripeteva: “Inspirate ed espirate profondamente” ma il mio respiro non ne voleva sapere di andare giù, nel profondo, come fosse bloccato.

Io lo so perché si bloccava, il mondo sta nella mia pancia. Sta tutto nella mia pancia. Ogni sensazione passa da lì, è sempre passata da lì. Le paure e i sussurri.

Quello spazio è il mio confine, difficile oltrepassare i limiti.

Eppure insegno ai bambini a superare se stessi, ne ho uno in classe che è un po’ ipocondriaco e lui sa bene di essere ipocondriaco, così, a volte, ci scherziamo su, a volte, gli spiego che quella cosa lì è superabile.

Ma lo capisco, perché il mio respiro si ferma nella pancia, la stessa che da ragazzina non mi piaceva e da bambina riempivo di dolci.

Non che io abbia pensato tutte ‘ste cose mentre ero sdraiata sul tappetino, non so dove le ho pensate, forse dopo, nello spazio dei sogni, quando la maestra mi ha parlato di un cordone dorato attaccato al mio corpo, come una cosa pazzi, che di dorato io non ho niente, figurarsi il cordone ?.

E ho fluttuato nella stanza, poi sono uscita in strada e infine, sulla mia città, sopra ai tetti.

Di tanto in tanto sbadigliavo e non so perché. E per collocare il mio braccio sinistro sul mio piede destro dovevo concentrarmi parecchio e le ossa facevano clic e guardavo gli altri, così, per essere certa.

Però, ho fatto la posizione della tigre? e ho pensato che tigre non lo sono mai stata, mai, nemmeno un secondo! La mia preferita è di certo quella del salmone, ma non credo esista.

Il salmone mi è simpatico, va in senso contrario, sembra uno stordito, un po’ come me.

Quando sono uscita ero più morta che viva, e non era come quando facevo step, aerobica o zumba.

Nessuna musica a martello nelle orecchie.

Non ero sudata, solo a pezzi, e lì per lì, manco sapevo se stavo bene. Però, ci sono tornata.

E ci ho pensato tanto a quella porta. Al rinunciare al vortice del devo dimagrire, rassodare, sudare eccetera eccetera.

Ci ho pensato. Ho pensato che per una vita ho cercato la velocità, quella delle azioni, dei sentimenti, in cui non ti fermi, perché fermarsi vuol dire esserci. Non fare finta di aspirare a qualcosa d’altro.

Esserci è un culo e la solitudine ti piomba addosso e ci devi fare qualcosa.

È strana l’esistenza, spesso, non si fluttua, e i cordoni, di qualunque natura siano, sono difficili da spezzare.

Aspiri a delle cose e poi, un giorno ti accorgi che ciò che pensavi ti avrebbe fatto stare bene, non era ciò di cui avevi bisogno e, in fondo, non ti faceva stare neanche tanto bene. Tipo il matrimonio.

Non so se imparerò mai a respirare. Non so se supererò mai i miei limiti.

Una cosa è certa, continuo a navigare a vista, a volte, controcorrente. A volte boccheggio.

Confondo ancora la destra dalla sinistra, e devo pensarci un attimo o sbirciare gli altri, quelli più a piombo di me, per essere certa?, però, più passa il tempo, più imparo a conoscermi.

Più divento grande, più so cosa mi serve.

E più sto bene.

Una mia bambina ha scritto in un testo che lei ogni tanto pensa alla sua “vecchiezza”. Mi è sembrato un termine così bello! Pure pensarci a otto anni mi è sembrato bello, vuol dire immaginarsi il futuro o sperarci.

In questa “vechiezza”, io so chi sono e non cerco più di essere una tigre o un leopardo o una gazzella o qualcosa che non sono.

Sono un salmone. E, potrebbe sembrare buffo, ma continuo a risalire la corrente e a fare il mio viaggio. A volte vedo il mare. A volte rimango in acque dolci.

Annaspo, non so ancora fluttuare.

Ma sono qui. Oggi più di ieri. Questo è certo.

Penny

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