L’anno scorso abbiamo chiesto ai bambini di cercare un simbolo per autovalutarsi.

Chi ha proposto una bandiera, chi delle lettere, chi delle faccette, alla fine, abbiamo votato il semaforo, prime prove di democrazia.

Poi, sempre insieme, abbiamo scelto degli indicatori per i vari colori cercando di trovare “la speranza” del cambiamento anche nel rosso.

Mortificare un bambino o un ragazzo è come togliergli ogni volta un pezzettino di futuro.

Alla fine di ogni lavoro in autonomia o in gruppo, chiediamo ai bambini: “Secondo te come hai lavorato?”, loro individuano un colore, spesso ci azzeccano, e motivano a se stessi e a noi la scelta di quel colore.

Capiscono cosa va bene e quali sono le cose su cui devono ancora migliorare, insomma riflettono su loro stessi.

Il voto crea dipendenza dall’adulto e dalla prestazione. E, soprattutto, non spiega nulla ai bambini.

È solo facile.

In classe non credo di aver mai sentito un bambino che si vantava di aver preso un verde, cosa che succede con i voti.

La competizione è solo con sé stessi e con il proprio lavoro.

Se il clima è sereno, l’apprendimento (che non vuol dire appiccicare nozioni) è possibile.

Un bambino è tante cose non solo le sue competenze linguistiche o matematiche, un bambino è la sua autonomia, è la capacità di aiutare gli altri, è la passione per i suoi disegni, è la capacità di rispettare i tempi dei suoi compagni, di accettare lo sbaglio, le sue competenze scientifiche o storiche o emotive.

Nei voti non c’è niente di tutto questo.

Spesso, dentro a questa frase è un bambino svogliato, collochiamo ogni aspetto: la sua storia, le sue difficoltà, magari non capisce la lingua, magari è un periodo difficile, magari è successo qualcosa, magari la pigrizia è un disturbo d’apprendimento non individuato, mille magari senza risposta.

Suo figlio è svogliato, chi di noi, ad un colloquio, non se lo è mai sentito dire?

Non ci chiediamo perché, quel bambino è pigro, scriviamo un bel cinque, se siamo clementi, e la chiudiamo lì.

Certo, la strada “del non voto” è meno rassicurante per tutti, genitori e insegnanti, è una strada più lunga che deve andare a fondo, ma rende autonomi i nostri figli dalla prestazione che poi è ricatto.

Imparo per me e cerco di capire quali sono i miei limiti e le mie risorse, non perché mi dai dieci.

L’altra mattina, dopo essere andati all’archivio di stato e aver visto come erano le classi e i maestri di un tempo, aver visto sezioni femminili e maschili, aver visto le bacchette, i libri in cui “regnavano” le parole di Mussolini, abbiamo parlato dell’importanza dell’istruzione.

I bambini lo sanno bene a cosa serve venire a scuola, uno di loro ha alzato la mano e mi ha detto:”Così conosciamo tante cose”.

E un altro:”Abbiamo degli amici” e un altro: “Così non facciamo le guerre”.

Alla fine una bambina ha proclamato:”Da grandi saremo liberi”.

La scuola del voto è una scuola che non ci serve. Abbiamo bisogno di riflettere su di noi, sul nostro passato, su quello che è successo e non commettere gli stessi errori, abbiamo bisogno di scrivere e leggere bene tutti e dico tutti per non farci fregare dal primo che passa, per sapere, conoscere e argomentare. Invece, perdiamo tempo, concentrandoci su un quattro e su delle prove (le invalsi) e il loro assurdo allenamento che succhiano “risorse” alla scuola e al futuro.

C’è sempre un margine di miglioramento dentro a ogni piccolo essere umano, invece, spesso tagliamo le gambe si nostri ragazzi.

I voti servono agli adulti per non farsi domande, per tirarsi fuori dalle responsabilità.

I bambini non sono voti. E magari un giorno, davanti alla Storia che è stata si alzeranno in piedi in segno di rispetto.

Conosceranno e, quindi, saranno liberi.

Penny

Leggete e firmate❤️. Grazie davvero.

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