Lei ha tredici anni. Una bambina. Sono in sette. La aspettano fuori da scuola. La fanno salire in auto. La portano al cimitero o in una casa in montagna.

Il più giovane di loro ha diciassette anni, gli altri sono uomini. Sette corpi che la spogliano. La toccano. Le divaricano le gambe come fosse una bambola di pezza.

La penetrano. Per due lunghi anni.

Poi le dicono di tacere, altrimenti avrebbero fatto male a sua madre e a suo padre.
E lei tace.

Un giorno scrive un tema e lascia la brutta copia in casa, è così che i suoi genitori scoprono l’orrore.

Cinque di loro vengono condannati da sei a nove anni di carcere in primo grado.
Sono gli stupratori.
Davide Schimizzi, è il fratello di un poliziotto. Poi c’è Giovanni Iamonte, “rampollo di un esponente di spicco della locale cosca della’ndrangheta”, Michele Nucera, Lorenzo Tripodi e Antonio Virduci, figlio di un maresciallo dell’esercito.

Siamo a Melito Porto Salvo, in Calabria. È il 2016.

Oggi, alcuni sono liberi, altri agli arresti domiciliari.

Ma qui inizia la seconda parte della storia, l’orrore nell’orrore. Perché non sono gli aguzzini a doversi nascondere, loro si muovono liberi, è lei che è dovuta scappare.

“È come se mia figlia si fosse meritata la violenza” ha detto il padre che l’ha portata via dal giudizio.

D’altronde lo sappiamo, i dati lo confermano, ogni quattro persone almeno una pensa che le donne possano provocare violenza sessuale con il loro modo di vestire, il 39% della popolazione ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se non lo desidera.

Insomma, la responsabilità è sempre nostra. Anche se questa responsabilità tocca una bambina di 13 anni e non importa se sono uomini, se sono in sette, non importa. Se per due anni, due anni, ogni giorno la prelevano da scuola e la stuprano in un cimitero. E se per due anni nessuno vede.

È possibile accettare in silenzio queste situazioni? È possibile accettare che una ragazzina debba fuggire con suo padre perché ritenuta in qualche modo responsabile del proprio stupro?

È possibile che questo paese non sia stato solidale nei confronti di questa bambina e non abbia allontanato, invece, questi uomini stupratori?

Forse perché sono figli di poliziotti o di carabinieri o di malavitosi? Forse, ma io credo che a loro basti essere uomini.

Quel ritornello cantato dalle donne cilene forse per questo sta facendo il giro del mondo e ogni donna lo canta e lo grida come se le appartenesse da sempre.

Perché noi lo sappiamo fin da quando siamo bambine, sappiamo che la nostra parola non ha abbastanza valore, che il nostro corpo può essere violato in un qualsiasi momento.

Lo sappiamo quando quando usciamo la sera, sappiamo che può succedere a una di noi. Sappiamo che può succedere alle nostre figlie.

Lei ora abita in un’altra città, in un altro quartiere, ha finito la scuola, ha ricominciato a vivere.
Ma ci può bastare?

A me no. Perché dove la violenza viene accettata dal sistema, legittimata, riaccadrà.

Ci sarà un’altra bambina, degli altri uomini pronti ad abusare di quella “condanna perpetua” che il corpo delle donne porta con sé.

Intanto, non saranno gli stupratori ad essere giudicati dalla società, sarà lei, la bambina, la ragazza, la donna a doversene andare.
Questo dimostra la storia.

Facciamo in modo di interrompere l’orrore nell’orrore. Continuando a denunciare e raccontare storie raccapriccianti come queste, indignarci, sollevarci, unirci.

Credo sia spargere la voce, sturare le orecchie a quelli che la pensano diversamente. Cambiare gli stereotipi che ci incatenano. E continuare a gridare:

“Il patriarcato è un giudice
che ci giudica per come siamo nate
E il nostro castigo
È la violenza che vedi
È il femminicidio
È l’impunità per il mio assassino
È la scomparsa
È lo stupro
E la colpa non è la mia
Nè di dove stavo
Nè di come vestivo
Lo stupratore sei tu
Lo stupratore sei tu
Sono i poliziotti
I giudici
Lo stato
Il presidente
Lo stato oppressore
È un maschio stupratore
Lo stupratore sei tu”.

Lo stupratore sei tu. In questo caso erano sette. Lei era solo una bambina.

Penny

https://www.facebook.com/poterealpopolo.org/videos/794907664270624/

ps: guardatevi il video fino in fondo. prima o poi dovranno ascoltarci.

2 comments on “Tredici anni, una bambina stuprata da sette uomini. È dovuta andare via dal suo paese. Una vergogna.”

Rispondi