Sono alle casse, aspetto il mio turno, davanti a me c’è una coppia. Condividono il peso. Conto in comune probabilmente. Si sceglie in due e in due si dividono le ansie e le preoccupazioni.

Lui sembra un po’ rassegnato, lei eccitata degli acquisti, ma forse sono mie proiezioni.

Mi immagino il dialogo. Lei che infila nel carrello, lui che gli chiede: “Ne avevamo proprio bisogno?”.
“Forse sì” risponde lei nel suo cuore, “ne ho bisogno per non lasciarti”.

Li guardo: lui e lei. Abituati uno all’altro, così simili da sembrare uguali.

Tocca a me, la commessa passa i miei acquisti. Tiro fuori il bancomat, conto unico. Il mio.

Provo invidia è questa la verità, a volte, provo invidia per quell’amalgamarsi, mischiarsi fino a non sapere più chi si è, quell’invidia lì, in cui le responsabilità sono condivise, in cui il conto è lo stesso, in cui ti appoggi, ti siedi, sosti.

Se andiamo a bagno lo facciamo insieme. Se vado a bagno, affondo io e basta. Se le mie figlie combinano casini, io rimedio.

La responsabilità è un macigno sulla mia testa.

Anche ai colloqui dei professori invidio i due. Lui con la prof. di matematica, lei con quella d’italiano, chi finisce prima tiene il posto da quello d’inglese. Io corro su e giù, nessuno mi tiene il posto.

Oppure la sera, quando tornano tardi, non mi giro nel letto e gli dico:”Oh! Non sono ancora tornare!”. Nessuno borbotta o mi risponde:” Non ti preoccupare”.

Ecco, non ti preoccupare.

Metto a posto il bancomat dentro al portafoglio, la piccola mi scrive: “Allora, c’erano i leggins?”.
Sì, presi”.
“E il body?”.
“Anche quello preso, per la danza sei a posto”.
“Hai speso tanto?”.
“No, non ti preoccupare, meno di venti euro”.
“Grazie mami” e cuoricino al seguito.

Lui e lei escono, lui porta due sacchetti, non si sono scambiati una parola.
“Abbiamo speso una fucilata” borbotta lui nel mio dialogo immaginario.
“Sei sempre il solito! Comunque, mancano ancora i regali per i tuoi fratelli” risponde lei secca.

Lui mette i sacchetti nel portellone, lei sale. “Non sbattere forte la porta” gli dice, poi sale anche lui, si sistema bene, chiude la porta e mette in moto.

È bello posare le preoccupazioni sul cuore di un altro, il mio stipendio, il tuo stipendio, i regali si fanno in due. Non pensare che in casa gli interruttori non funzionino, la porta del bagno non si chiuda bene, è bello parlare al plurale: mio marito ed io…paghiamo l’amministrazione…ci è arrivata la Tari (sapete che è la mia ossessione?)…cosa facciamo a Natale? O a Pasqua o, o, o.

È bello usare “Noi”.

Ma l’uso del Noi prevede tutta un’altra parte che, in alcuni casi, manca, sparisce.

Non ti faccio i conti i tasca quando fai la spesa, ci abbracciamo e ci baciamo sulla bocca, non come fossimo fratello e sorella, ci desideriamo, ce lo diciamo e ce lo dimostriamo, liberi entrambi di progettare, non mi occupo dei figli solo il sabato mattina così tu pulisci la casa in santa pace… Ci diciamo la verità.

In alcuni casi quel Noi è una rassicurazione ma non è sufficiente.

So come ci si sente a sentirsi soli. So che bisogna essere in asse, in equilibrio, ma dovrebbe essere così per tutti, solo che, alle donne hanno insegnato ad appoggiarsi e agli uomini hanno dato il peso e gli oneri del capo famiglia così, a volte, le cose sfuggono di mano.

Mi fermo, aspetto il verde e attraverso. La coppia è lì, dentro alla macchina, lei guarda fuori dal finestrino, lui ha le mani ancorate al volante. Chissà se si amano, penso, o se l’abitudine li ha divorati. Chissà se lui ogni tanto le accarezza i capelli o la tocca dove vuole. Chissà se la sgrida. Chissà se.

È difficile essere UNO. Immaginare la vita su di sé, davvero complicato tirate fuori quel portafoglio e sapere che tuoi sono gli acquisti, tuoi gli sbagli. Tuo il rischio.

“Ne parlo a mio marito e le faccio sapere”.
“Ne parlo a me stessa e le faccio sapere”.

Ecco, difficile. E quando l’angoscia sale, quando non posso appoggiare le preoccupazioni, mi devo ricordare che il matrimonio o i rapporti, non servono per sistemarsi, ma, semplicemente, per amarsi.

E io ho scelto di amare ed essere amata e il portafoglio si fotta.

Altra cassa, altri regali, davanti a me due donne di una certa età.

“Come sta sua figlia?” chiede una madre all’altra.

“Bene, si è sistemata, ha trovato un bravo ragazzo, un informatico. E la sua?”.

“Anche la mia si è sistemata: ha trovato se stessa”.

Penny

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