Tutti, prima o poi, a vari livelli, si trovano alle prese con una crisi e con la pressione che spinge verso il cambiamento.

Le crisi possono nascere da fattori esterni come l’abbandono, la morte di un coniuge oppure da cause interne come non accettare il tempo che passa, la sensazione di tristezza che ci pervade improvvisa, qualcosa a cui non sappiamo dare una spiegazione.

Affrontare in modo positivo queste spinte al cambiamento richiede un processo di adattamento molto difficile.

Non necessariamente dobbiamo essere delle guerriere o dei guerrieri, il più delle volte, ad esempio, io sto dall’altra parte: quelli che hanno strizza.

Le crisi personali, come i problemi relazionali, un divorzio, la fine di un rapporto, una diagnosi nefasta, problemi lavorativi come un licenziamento, possono mettere in dubbio non solo il nostro futuro ma l’idea di giusto e ingiusto.
Perché è successo a me? Perché ce l’hanno con me? Perché mi capitano tutte?

Ci sono persone che vengono sopraffatte da una crisi, che non si assumono mai la responsabilità della perdita e rimangono incazzati a vita (e conosciamo i tipi), altri che ce la fanno, vanno avanti, superano.

Quando capita una crisi ci si sente sopraffatti, paralizzati, è per tutti così. Quel dolore copre ogni cosa, anche ciò che va bene.

Come uscirne?

Non che io lo sappia, ma ad un certo punto della mia vita, ho capito che, spesso, le crisi sono qualcosa di funzionale al nostro essere, per dare scossoni, svolte, virate.

Ho capito, quando si sta male, che mettere dei confini o paletti a ciò che non funziona, ci aiuta a individuare ciò che continua a funzionare.

In altre parole, bisognerebbe capire davvero quello che è andato storto e salvare ciò che è stabile, perché qualcosa di integro, di intero esiste sempre, ed è ciò che è necessario per andare avanti.

Pensate a quando sgridiamo un bambino, è diverso dirgli: sei cattivo! Dal: ti sei comportato male.

Essere qualcosa, in questo caso cattivo, non dà scampo. Comportarsi male, vuol dire, circoscrivere l’azione e non confonderlo con l’ essere.

Hai fatto qualcosa di sbagliato, ma puoi migliorare, esiste il margine del cambiamento.

Quante volte mi sono sentita cattiva? Quante volte me lo fanno detto anche da adulta?

Ti frantumo e ti frantumo tutta e, come una cretina, crollavo a terra, tramortita.

Qualcuno parla di cambiamento selettivo, e io sono d’accordo.

Ho imparato così a salvarmi quando sto male. A selezionare.

Perché, quando non ci capisci nulla di te e pensi di essere un fallimento, pensare di stravolgere tutto, buttare via tutto, cambiare tutto, in un momento di crisi, è solo paralizzante.

Certo, la possibilità di superamento del dolore, dipenderà dal nostro modo di essere, da quanto siamo rigidi o dalla forza generatrice che abbiamo dentro e dalla possibilità durante la crescita di aver scelto o meno liberamente.

Però, al di là della storia che ci portiamo dietro, spetta a noi la possibilità di salvarci, anche quando ci dicono (o ci fanno credere per una vita) che non ce la faremo.

Così puntello, prima di ogni cosa ciò che non è negoziabile, quei valori che ritengo importanti imprescindibili. Poi, cerco di costruire un recinto intorno a quel dolore e oltre a guardarlo quel dolore, cerco di rivolgere lo sguardo verso l’esterno, ovvero, verso ciò che continua a funzionare.

Non ci crederete, ma “funziona” tantissimo.

Solo dopo mi chiedo se sono disponibile a cambiare e se non lo sono, aspetto quel tempo. Mi do la possibilità di sostare per un po’ dentro al caos, e se non ho nessuno che mi dà i bacini sulla ferita, provo a curarmela da sola, a guardarne i confini, i contorni, la forma.

A capire che io e lei non siamo la stessa cosa. Lei è la ferita, io sono altro.

Definirla mi aiuta a riconoscere il resto, ciò che sta intorno, ciò che sono, invece, a volte, quando stiamo male diventiamo lei e non riusciamo ad uscirne.

Quando stiamo male, dobbiamo avere la forza non tanto di contrastare il dolore, ma di averne una visione complessiva.

Ricordarci sempre che oltre a lui ci siamo noi, per questo è importante identificarlo, stare lì, definirlo, perché lui non diventi il tutto nella nostra esistenza e non si appropri anche di ciò che funziona.

È più facile generalizzare, un po’ come l’amore quando mischia tutto, ma è la profondità e non lo stare in superficie che ci permette di trovare il senso e di capire il perché delle cose.

Non sono una guerriera, non lo sono mai stata, mi calo spesso le braghe e crollo due giorni sì e tre pure, però, sto imparando a crollare.

Credo stia qui la differenza. Non nel fuggire ai crolli, che accadono, ma imparare a rialzarsi.

Noi non siamo la nostra ferita, siamo ciò che di generoso l’accoglie.

Ricordatevelo un po’.

Penny

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