Possiamo pure pensare che la povertà sia qualcosa che non ci riguardi, che non ci tocchi, invece, basta entrare in una classe di una scuola pubblica e ascoltare i bambini.

Ci siamo ritrovati dopo quindici giorni di festa. Baci, abbracci, strette strettissime ed essendo bambini non stavano nella pelle e avevano voglia di raccontare, così, prima di leggere un nuovo libro ci siamo seduti in agorà per parlare un po’.

Mi sono presa il tempo per ascoltarli. Ne hanno bisogno per imparare bene. Hanno bisogno di organizzare i pensieri oralmente per saperli costruire anche per iscritto. Hanno bisogno di non essere catapultati dentro alla prestazione sempre e comunque.

Quello della conversazione e dell’ascolto è un tempo che torna sempre.

Negli anni ho imparato a non chiedere più cosa hanno fatto durante le vacanze, perché ci sono bambini che non fanno mai nulla di speciale e non hanno molto da dire, così, chiedo loro di raccontare ciò che desiderano.

Anche la narrazione ha bisogno di una sensibilità “democratica”.

Possiamo fare finta di niente e dimenticare che i bambini poveri siano in mezzo a noi oppure accorgerci che alcuni di loro li abbiamo accanto.

Bambini che fanno fatica a parlare delle loro vacanze di fronte a racconti di doni di ogni tipo ed esperienze molteplici dei loro coetanei.

E possiamo fare finta di niente ma quasi tutti questi bambini, quelli che non alzano la mano, hanno la pelle che non è bianca.

Abbiamo provato lo stesso a mettere insieme, perchè la differenza, spesso, è discriminazione per gli adulti, non per i bambini. La partita sotto casa vale come un viaggio chissà dove.

Ognuno di loro ha trovato una parola per questo tempo di vacanza, venivano accettate tutte e sono diventate nostre.

Così, in mezzo a parole come montagna, Cogne, scalate, Thailandia, divertimento, felicità, regali, ce n’erano alcune che non c’entravano niente ma nessuno ha detto nulla, scritte tutte, valore identico.

Ci sono bambini che se hanno una speranza di “esistere” è dentro alla scuola, quel luogo di inclusione, in cui le differenze sociali ed economiche non dovrebbero essere discriminanti nemmeno nella possibiltà di raccontarsi.

E, allora, non capisco perché a volte crediamo che “tagliare le gambe” ad alcuni di loro sia il modo giusto di procedere, non li consideriamo meritevoli senza tenere conto che non sono sulla stessa linea di partenza degli altri.

E, allora, mi chiedo perché non si investa nella scuola pubblica in modo che questi bambini possano “recuperare” mancanze di cui non hanno nessuna colpa.

Ci sono vacanze e vacanze, famiglie e possibilità differenti, noi insegnanti dovremmo ricordarcelo quando chiediamo ai bambini di raccontare o quando li carichiamo di compiti.

Dovremmo ricordarci ogni giorno che nella nostra Italia ci sono un milione e 260 mila bambini in povertà assoluta, loro non sono invisibili, spesso, siamo noi che non li vediamo.

O facciamo finta di non vederli, perchè vederli è doloroso e ci richiama alle nostre responsabilità.

Frequentano le nostre scuole, vivono nelle nostre città, sono amici dei nostri bambini, sono i loro compagni di classe.

Renderli visibili vuol dire non dimenticarli.

Abbiamo un unico modo per far stare bene i nostri figli, cercare di prenderci cura dei figli degli altri.

Non dimenticarci che sono bambini.

Esattamente come i nostri.

Penny

4 comments on “Ci sono bambini che non hanno niente.”

  1. Tantissimi anni fa fui un bambino fortunatissimo. La Befana mi portava sempre UN giocattolo. Altri bambini ricevevano un arancio o delle caramelle o una manciata di fichi secchi. Mi vergognavo come un cane e non dissi mai più del “mio” regalo dalla Befana. Avevo 7 anni. La povertà era immensa.

    • Io mi sono commossa. Credo che sentire, riuscire a sentire, anche da bambini sia una grande dote umana. Spero tanto di essere un bel ricordo dentro alla storia dei miei alunni… Grazie davvero caro Marcello.

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