Valentina alle 22.00 di una sera qualunque sta aspettando l’autobus per tornare a casa. La fermata è nel centro della città.

La mia Genova.

Valentina potrebbe essere mia e vostra figlia, Valentina potrebbe essere una di noi quando era ragazzine.

Aveva un cappotto marrone, le scarpe dello stesso colore, un paio di pantaloni beige, una maglietta rossa e una sciarpa anonima.

Non c’erano minigonne, scarpe con il tacco o scollature.

C’era solo una ragazza.

Valentina aspetta tranquilla, ad un certo punto passa una camionetta della spazzatura e uno dei due operatori alla guida le grida: “Troia!”.

Inizialmente lei non risponde, è confusa, forse si agita, ma poi prende coraggio e gli chiede che cosa volessero dire, allora l’altro le dice: “Ma come? Non ti ricordi ieri sera?”. Giù risate.

Lei ha reagito, dicendo qualcosa, ma non è servito a niente se non ad alimentare le loro risate.

Valentina ha ben chiaro che questa storia, intendo quella del sessismo, del patriarcato, non si combatte da sole e negli spazi di questi uomini ma in quelli comuni, di cui abbiamo bisogno di riappropriarci. Gli spazi pubblici.

Ha ben chiaro, pur essendo giovane, che non ci si può fare immobilizzare dalla paura di essere aggredite, che non dobbiamo retrocedere, non dobbiamo limitare la nostra libertà.

Valentina non si è fermata qui, ha provveduto ad inviare un’e-mail all’Amiu e all’assessorato della mobilità di Genova raccontando l’accaduto.
Poi scrive un post in cui ci mette la faccia. Valentina si muove, vuole denunciare, chiama altre donne vittime di molestie a fare altrettanto.

Non si fa bloccare dalla paura ma quella paura, perché sono sicura ci sia stata, la trasforma in rabbia e desiderio di giustizia.

È questo che dobbiamo insegnare alle nostre figlie, a non avere paura a desiderare per se stesse giustizia.

Ricordo perfettamente la sensazione che ho avuto tutte le volte che ho subito una molestia, mi sentivo in qualche modo responsabile e in colpa.

Da quel momento in poi ho capito che non ero libera solo perchè femmina.

Ricordo un cappotto aperto all’improvviso in una strada dietro casa mentre portavo a spasso il cane, il sesso di quell’uomo e il suo ghigno, una mano sul seno di uomo anziano durante un viaggio in autobus mentre andavo a scuola, due ragazzi che mi hanno seguito, un uomo che ha cercato di toccarmi il sedere.

Ricordo la rabbia e la paura, lo schifo. Adesso so che è stato allora che ho iniziato a nascondere il mio corpo.

Sono diventata una ragazza da maglioni lunghi, mani nascoste e fisico informe, ci ho messo tanto prima di capire che non era colpa mia, tanto a volermi bene e a non nascondermi più.

Valentina mi dà speranza, spero per le mie figlie e per le ragazze del mondo, che sappiano fare come lei e che non retrocedano di un passo, non si chiudano in casa la sera, ma che occupino, invece, gli spazi di ogni città su questo pianeta e che finisca questo gioco perverso in cui è la vittima a limitare se stessa e i propri spostamenti invece che il carnefice.

Ha ragione lei, non importa cosa abbiamo indosso, importa quell’idea per cui alcuni uomini pensano di potere tutto, che si tratta di insulti, molestie o violenza fisica e psicologica.

Quindi, ricordiamolo alle nostre figlie che non pensino nemmeno per un attimo che sia colpa loro, che non pensino nemmeno per un attimo di cambiarsi o modificarsi per non provocare atti sessisti e misogini.

Stiamo al loro fianco perché la percezione della propria sicurezza a un certo punto cambia.

Perché se lo faranno rinunciando a un’uscita serale, coprendosi per non beccarsi un Troia o altro, la loro strada sarà scritta e avrà un nome solo: sottomissione.

È compito nostro spingere le nostre figlie ad avere il coraggio verso ciò che è giusto.

Lo stesso che ha avuto una sera qualunque una ragazza di nome Valentina.

Valentina siamo noi. Lei è la forza che ogni attimo della nostra vita dovremmo avere.

Quella forza per trasformare la colpa in rabbia, la paura in cambiamento.

Libere di camminare nelle nostre strade, nelle nostre città senza essere molestate solo perché siamo bambine, ragazze, donne.

Penny

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