Quando ero piccola e anche da ragazza avevo sempre una sensazione di inadeguatezza che mi accompagnava costantemente, come un alone di ansia. Anche nei ricordi questa sensazione è rimasta intatta.

Mi è successo anche quando mi sono fidanzata e poi sposata. Ho sempre pensato che fosse una cosa che riguardasse il mio carattere ansioso o che riguardasse la storia della mia famiglia. Il che sicuramente in parte è così. In parte appunto.

Non mi sono mai chiesta se ci fosse qualcosa oltre me che riguardasse la storia di altre donne, poi, quando sono stata male, quando ho iniziato a scrivere ho capito che il mio sentirmi incapace non era solo un mio problema.

Non so cosa sia cambiato o forse sì, credo sia stato il dolore, ma ho iniziato a credermi.

A credere in quello che sentivo e a capire che c’era stato un lavoro sociale continuo a convincermi che il mio pensiero valesse meno. Non il mio in quanto persona, il mio in quanto donna.

A un certo punto ho smesso di convincere. Ho lasciato che il giudizio esistesse. Ho capito che era quello a cui dovevo rinunciare se volevo stare bene.

Mi sono presa il peso di chi pensava che non ero una buona madre. A chi mi diceva che ero egoista.
Chi mi parlava di grilli nella testa.
Chi diceva che stavo impazzendo.
Chi diceva che mi facevo influenzare.
Chi mi diceva che non sapevo fare le cose.


A volte erano uomini, a volte donne.
Nel tempo sono stati educatori, maestri, professori, amiche e amici, incontri.

Ancora adesso tendono sempre a spiegarmi le cose, io a sentirmi subito in difetto. So che sono gli uomini, soprattutto, che ci spiegano come funziona l’esistenza. Ora, quando succede, me ne accorgo. E sapete qual è la differenza?
Mi importa di me. Ho imparato a tutelarmi. Ho imparato a tenere sulle spalle quel giudizio, girare l’angolo e scrollarmerlo di dosso.

Ad un certo punto non mi sono più preoccupata di piacere. E vi assicuro che, nonostante tutto è una bella sensazione.
Valevo di più io.
Non c’erano più frasi fatte.
Certo, scrivere, espormi sul blog mi ha aiutato a non avere paura. A prendere i commenti poco benevoli, usare quelli costruttivi, gli altri farne buccia.


Ci chiedono di essere pronte, sexy, madri e cuoche, capaci nella gestione e nell’organizzazione della famiglia, se non poi dirci che tendiamo a controllare tutto, e facciamo di tutto questioni enormi.

Ci dicono che dovremmo accogliere il nostro uomo senza pinza e calzettoni, ma non vale mai il contrario, agli uomini non chiedono niente.

Dipende tutto da noi, per fare in modo che, in fondo, non dipenda niente.

In un groviglio di sensi di colpa in cui ci perdiamo.


Ecco, l’ho capito tardi che per alcuni aspetti, il mio carattere non c’entrava nulla, eppure mi sono preoccupata, curata, dannata per il mio senso di inadeguatezza.


Ora so che riguardava me e quel senso di inquietudine mi apparterrà sempre, ma che riguarda anche secoli di sottomissione femminile. So che è mio compito, nostro compito rompere argini e tagliare radici malate.

Non possiamo fare altro che alzare la testa e ascoltare quella voce, silenziata per tanto tempo, che ci riporta al valore di ciò che siamo.

Ci hanno insegnato che dovevamo piacere, restare, accondiscendere, per questo a volte abbiamo quel nodo allo stomaco, quell’ incazzatura perenne, perché riconosciamo l’ingiustizia e non sappiamo come uscirne e pensiamo
di essere noi quelle sbagliate, invece, è il sistema sociale, politico, economico improntato sul “maschile” e governato dal “maschile”, ad esserlo.

Un sistema che entra quatto nelle nostre case, nei nostri luoghi di lavoro e si accomoda.

E, allora, iniziamo a percepirci “giuste” nel sentire e a cambiare lo stato delle cose.

E fottiamocene di piacere. Perché ci hanno indirizzato verso quello scopo.

Piacere.

Occupiamoci, invece, di essere felici. Tremendamente felici.

Penny

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