I nostri bambini cercano abbracci e in qualche modo li trovano, trovano il modo per scovarci e riportarci a loro, alla vita, al presente.

Trovano un buco, uno spazio, una strada per giungere al cuore.


Non ti puoi scordare di loro, non lo permettono.


Ti ricordano quello che di bello c’è.

E quando non c’è niente inventano.


Indossano larghi cappelli mentre fanno i compiti o girano per casa e fanno finta di essere ciò vogliono. Un corsaro. Una scienziata. Una vecchia signora.


Indossano occhialini e si mettono la cuffia, nuotano il mare.


Inventano viaggi, zaino in spalla, scalano montagne.

Inventano pozioni con acqua e farina, creano magie e caos.

È grazie a loro che siamo capaci di sopportare il disordine delle nostre esistenze.


Ogni tanto ti chiedono: oggi usciamo?
E allora noi cerchiamo la tenerezza e rispondiamo di no. Oggi ancora no.

I nostri bambini spalancano gli occhi, aggrottano la fronte ma dopo poco se ne dimenticano.

Dimenticano che la porta è chiusa, che le strade sono deserte e il tempo è ovattato.

E ricominciano un nuovo gioco. La casa diventa il mondo e il mondo infinite possibilità.

Non ti concedono di perdere la speranza.

Loro conoscono ciò che conta.

Ti chiamano. Ti tirano per il maglione. Combinano guai.

Non ti permettono di dimenticarli. Di dimenticarci.

E, soprattutto, ci ricordano che siamo vivi.

Ci siamo ad un metro di distanza uno dall’altro, ma ci siamo.

Basta chiudere gli occhi.

Immaginare il mare, i boschi, la montagna, il nostro luogo preferito, le camminate, gli abbracci.

Come sanno fare, ogni giorno, i nostri bambini.

E continuare ad esistere, perché questa è l’unica cosa che conta.

E loro lo sanno.

Penny

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