In questi giorni non faccio altro che stare al telefono o su WhatsApp o al computer con colleghe, genitori e la nostra rappresentanti di classe.

Abbiamo creato gruppi per team paralleli, poi per materia, poi della classe, cercando strategie continue.

Diciamoci la verità, le credenziali al registro elettronico consegnate ai genitori, non sono il lascia passare per una didattica a distanza giusta.

Una cosa che ogni insegnate degno di questo nome dovrebbe cercare di fare è di coinvolgere tutti gli alunni. Soprattutto adesso.

Cercare di raggiungere i suoi ragazzi in ogni modo. WhatsApp, telefonate, lettere, compiti lasciati dal giornalaio sotto casa.

Un insegnante attento sa, quando si collega con i suoi alunni, soprattutto se non è di un liceo ( perché lì la selezione è già avvenuta) che ci saranno dei banchi virtuali vuoti.

E quei banchi vuoti sono banchi precisi, quelli di bambini o ragazzi che hanno famiglie con una condizione sociale disagiata.

Dentro all’istituzione scuola man mano che i ragazzi avanzano nella formazione, la forbice è sempre più ampia tra chi ce la farà e chi resterà indietro.

Spesso, anche se non vogliamo ammetterlo, il merito va di pari passo con la condizione economica e sociale delle famiglie.

Ogni insegnante sa che questa è la verità. Ogni genitore pure.

La povertà sociale e culturale, è sempre stata evidente nei corridoi di ogni scuola italiana.

Ierri ho sentito mia sorella per telefono e mi ha raccontato che nella classe virtuale di mio nipote, ad esempio, mancano sempre gli stessi due bambini.

Rattristata mi ha detto: “Capisci, finché questi bambini andavano a scuola per lo meno erano seduti al loro banco, ascoltavano, in questo modo, invece, li abbiamo persi”.

Parlava al plurale e questo è stato meraviglioso, una medicina, quella del preoccuparsi dei figli di tutti, in un sistema scolastico che all’origine perde acqua.

Vedo la fatica che faccio in questi giorni all’interno della mia famiglia con la didattica a distanza. Un tablet e un computer che non funziona più, e noi siamo solo in tre.

Dobbiamo fare i turni e, a volte, le mie figlie seguono le lezioni sui telefonini.

Noto la fatica che faccio a capire come inserire il materiale, quale materiale inserire. A tenere le mie ragazze sul pezzo.

Non oso immaginare cosa succeda nelle famiglie in difficoltà.

Quasi una settimana fa ho scoperto che tre mie famiglie non riuscivano ad accedere al registro elettronico, due non avevano ancora le credenziali. Hanno solo un telefonino con la WiFi.

Impossibile, ovviamente, scaricare materiale, impossibile, a volte, capire le consegne.

È solo grazie ad un servizio educativo all’interno del territorio, (gli stessi servizi educativi che spesso i governi italiano e le amministrazioni a ruota), che alcuni bambini in difficoltà hanno avuto un tablet su cui fare i compiti.

Ovviamente non tutti sono stati raggiunti, c’è sempre qualcuno più povero dei più poveri.

La speranza è che ogni insegnante trovi il modo di raggiungere tutti, la speranza è che la rete genitoriale che fa della scuola una comunità, in questo momento, resista.

Il problema è che questo modo di fare scuola, non dovrebbe essere lasciato al caso o al singolo insegnate o al genitore volenteroso.

Dovrebbe essere la Scuola come istituzione a preoccuparsi di diminuire quella forbice tra chi ha delle possibilità e chi non le ha, fino ad annullarla.

Invece, si pensa sempre che i bambini e i ragazzi, partono dalla stessa linea, ma non è così.

Lo dimostrano le Invalsi e i soldi che si spendono per attuarle, lo dimostra la richiesta di materiale continua a carico delle famiglie, la didattica frontale, i licei che diventano accessibili solo alle classi sociali medie e più alte. Per non parlare delle università…

Lo dimostrano la marea di compiti che alcuni docenti assegnano come se fosse la panacea di tutti i mali. Spesso solo chi è seguito li riesce a fare.

La verità è che una Scuola valuta se stessa attraverso i ragazzi che perde.

E questo momento, forse, ha portato a galla questa realtà.

In questi momenti cerco di pensare a Don Milani, a Barbiana, a quella sua Lettera a una professoressa.

Penso al fatto che dovrebbe essere compito della scuola tenere tutti dentro e non vantarsi di tenere dentro solo quelli che possono.

Non so cosa succederà dopo. So che i ragazzi che siamo perdendo non hanno nessuna colpa.

So che dipenderà da noi, da quanto saremo in grado di lottare per una Scuola più giusta.

Verrà fatta una fotografia e spero che racconti una storia nuova, nel frattempo, quello che vi chiedo è come insegnante di tirare dentro tutti, soprattutto gli ultimi, come genitori di non dimenticarvi del compagno di banco di vostro figlio.

Tendere mani, occhi, cuore e compiti a distanza.

Domani, invece, dobbiamo lottare, lottare e lottare perché la nostra Scuola diventi la Scuola di tutti.

Una scuola in cui nessun bambino o ragazzo si senta incapace o si arrenda solo perché più povero.

Penny

5 comments on “La scuola è classista, non è una novità. Nella didattica a distanza gli ultimi si perdono ancora di più.”

  1. A parte la povertà economica , c’è anche tantissima povertà culturale .
    E purtroppo per quella non si può far niente attualmente.
    Ci sono genitori che si lamentano perché i figli hanno compiti , perché non hanno voglia di organizzarsi e di seguirli . Preferiscono lasciare che il loro cervello si spenga davanti ad un videogioco.
    Sono gli stessi che poi si lamenteranno per i brutti
    voti , sono una piaga della nostra società.

    • Verissimo e non solo questo è il problema. Io vado all’università e seguo le video lezioni ok che non ho l’obbligo di frequenza e posso anche fregarmene ma seguo le video lezioni perché servono parecchio, ma io sono costretta a SELEZIONARE le video lezioni da vedere perché i miei giga pur essendo tanti (50 GB) non mi bastano per seguirle tutte senza dover pagare soldi extra (0,90 € ogni 100 MB che non sono pochi soprattutto se si finiscono presto) pur rinunciando a vedere cose inutili e non ho il WiFi in casa. Hanno creato questa cosiddetta “Solidarietà digitale” ma è sempre limitata, invece di fare una legge che obbliga tutti gli operatori ad offrire internet gratis o pagando una cifra simbolica (2/3€).
      STUDIARE È UN DIRITTO ANCHE A DISTANZA E NON SOLAMENTE LA SALUTE!!!!

      • Cara Viviana hai davvero ragione, e la tua grinta, anche nel scrivere questo post è cosa rara. Tienitela stretta e dai voce, come puoi al tuo sentire, sempre. Se le cose non cambieranno almeno potrai dire di averci provato. Grazie davvero. Penny

  2. Grazie ma per fare qualcosa serve per forza un’azione comune da più persone possibili sia chi è direttamente coinvolto (non sono l’unica) ed anche chi crede che il diritto allo studio e al lavoro anche a distanza deva essere per tutti e non solo per chi ha i soldi da spendere continuamente. Serve un’azione concreta ed unita.

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