Ieri mentre ero sul mio micro terrazzino a leggere, mi sono presa 5 minuti per vedere un servizio di Piazza pulita che i miei amici mi hanno mandato per WhatsApp.

La sera cerco di tutelarmi un po’, perché le mie notti sono spesso travagliate e, forse per difesa,  intorno alle dieci crollo.

Quello che mi tormenta in questo momento, a parte il numero spaventoso di persone che stanno morendo giorno dopo giorno, è la solitudine intorno a quelle perdite.

Il medico di rianimazione, che hanno intervistato nel servizio, aveva la voce rotta e ha detto una cosa: il nostro lavoro sta andando al di là di ciò che abbiamo imparato. Le telefonate ai parenti, per quanto ci si provi, sono qualcosa di arido che strazia il cuore. 

Credo che dovremmo imparare a parlare anche ai piccoli della morte, dovremmo parlarne tra di noi, con i nostri ragazzi, come parte della vita, perché questa forse è l’unica cosa che ci potrebbe aiutare ad affrontare il dolore.

Forse ci aiuterebbe a pensarci parte di qualcosa di più grande che sia un ciclo vitale o un Dio non importa.

Però, trovare le parole per spiegare è l’unica cosa che possiamo fare.


Ho sempre pensato che la morte come la nascita sia legata alla solitudine, nasciamo soli e moriamo soli, mi ha detto un giorno la mia psicologa, ma avere vicino quelli a cui vuoi bene e che ti hanno voluto bene è tremendo. Le bare che sfilano sui carri dell’esercito credo sia stata un’immagine che rimarrà dentro di noi per tanto tempo.

Di tutta questa storia i morti sono un fatto tremendo, la loro solitudine devastante.

Eppure si dice che tutto un senso, diciamo che in questo momento faccio molta fatica a trovarlo, così, cerco di pensare alla cura che vorrei mettere nella mia vita, a ciò che questo tempo mi sta insegnando.

Quando c’è il telegiornale chiedo alle mie figlie di guardarlo, voglio che sappiano, voglio che possano dirmi: ho paura. Voglio che siano consapevoli di quello che sta succedendo e continuino ad agire di conseguenza per se stesse e per gli altri.

Voglio che non sprechino il loro tempo ad essere meritevoli di cazzate o premi a punti ma che mettano energia in ciò che è importante. Non potranno mai stare bene se non si occuperanno del bene degli altri, un grido il mio per loro. Le vorrei donne capaci di sentire.

Non è, in fondo, quello che ci sta chiedendo la vita in questo momento? Occuparci degli altri attraverso le nostre azioni e se non finirà questa devastazione come potremmo mai ricominciare?

Voglio che anche per loro sia questo un momento di riflessione.

Ho letto un articolo il cui titolo diceva Non voglio che tutto torni come prima. Anche per me è così.

Vorrei che avessimo tutti più cura di chi ci sta vicino, della vita e più cura della morte, che dell’esistenza, appunto, ne fa parte.

Vorrei che avessimo più cura delle persone anziane, quelli che sono soli,  che magari non hanno più un marito, quelli che scartiamo dalla società nel momento in cui non sono più produttivi.

Ecco, poi c’è tutto il discorso intorno al prodotto, a quello che desideriamo da noi stessi.

Al fatto che spesso mettiamo al centro il nostro ego, i nostri problemi come se fossero i problemi del mondo. Il nostro libro da vendere, il progetto che ci fanno scartato, le insufficienze dei nostri figli…quanto siano piccoli a volte?

Mi piacerebbe che ogni lavoro avesse tutele giuste, dalla maternità, alla malattia…dai cococo, agli autonomi. Non togliere ai dipendenti, ma che discorso è? Ma aggiungere agli altri. pensate adesso come sarebbe importante.

Che ognuno di noi non cercasse il modo per trasgredire alle regole e penso all’evasione ( sappiamo che il numero è altissimo in Italia), dagli scontrini fiscali ad atti più grandi. Pensate se ognuno di noi pagasse le tasse ( cosa che i dipendenti fanno, non dimentichiamocelo) invece di intestare case alla moglie, allo zio, mandare soldi all’ estero e contribuisse secondo le proprie possibilità, pensate solo alla Sanità e alla Scuola. Pensate a come lo stato potrebbe investire nel lavoro.

Pensate a come collasserà il sistema sanitario degli Stati Uniti, visto che la Sanità non è pubblica. Moriranno i poveri, soprattutto, come d’altronde succede ogni giorno dentro al silenzio del mondo.

Tutte le mattine più o meno intorno alle sette porto fuori il cane, ci sono dei giardini sotto casa mia con dei muretti di pietra e degli alberi che formano quasi delle cucce. Non so da quanto tempo sotto una di queste cucce dorme un uomo. Credo sia la sua casa.

Non so di preciso quanto siano le persone al giorno che muoiono di povertà, i bambini che muoiono ogni giorno, credo un numero che ci farebbe accapponare la pelle.

Ecco, mi piacerebbe di questo tempo ci aiutasse a dare dignità a tutte le vite non solo quelle vicino a noi.

Le mie figlie mentre guardano il telegiornale hanno gli occhi aperti e preoccupati. Le lezioni di cui si lamentano si frantumano di fronte a ciò che sta succedendo.

Lo so che forse vorreste dei post più positivi e ottimisti. Lo so che forse leggere certe cose fa male, come fa male a me, ma poi ci penso e spero che tutto questo mi aiuti a prendere più consapevolezza e a fare le scelte giuste in un prossimo futuro.

Io non voglio dimenticare la solitudine di questi morti. Ieri più di ottocento. Non voglio dimenticarmi che esiste il dolore e dimenticarmi di chi si soffre. Sarebbe facile. Basterebbe pensare al prossimo libro che ho da scrivere, ai progetti futuri.

Ecco, nel mio progetto futuro vorrei ci fosse il mio popolo, inteso come mondo, il mio pianeta e la sua cura, l’esistenza compresa dei suoi morti.

Se non penso a questo mi sembra che il senso vada a farsi fottere.

Non ho altro da dire, sapete che scrivere mi aiuta.

Dalle finestre vedo una porzione di mare, gli alberi, sento il canto degli uccellini, vedo qualche pappagallo rosso e verde posarsi sui rami. Le gemme stanno spuntando.

È tempo di primavera. Il mondo va avanti e noi con lui. Cerchiamo di averne cura da qui in poi.

Penny

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