Cara ministra, le racconto una storia. La storia è quella di una maestra e di un suo bambino.

Lui ha 6 anni. Classe prima.

Da quando la scuola è rimasta chiusa le insegnanti di questo bambino hanno fatto di tutto per raggiungerlo.

Credo faccia parte di quel milione e qualcosa di studenti di cui lei ha parlato nel suo intervento rimasti fuori della didattica on-line.

Nonostante non riuscissero  a contattarlo, le sue maestre non hanno mollato.

Nessun registro elettronico, nessuna piattaforma, nessuna lezione sulle difficoltà ortografiche hanno raggiunto questo piccolo.


Sa ministra, questa maestra, qualche giorno fa mi ha mandato un messaggio.

Era così felice. Ce l’hanno fatta.

Attaverso un telefonino, tanta buona volontà, tentativi continui, la privacy violata, la rete delle famiglie, sono riuscite ad entrare in contatto con lui.

La mamma di questo bambino ha filmato suo figlio mentre guardava nel video la maestra, la sua maestra, quella che ha instaurato una relazione significativa con lui, che faceva un discorso ai bambini.

Un discorso di quelli che rassicurano: come state? Cosa state facendo? È una situazione difficile me ne rendo conto. Vi penso tanto.

Lui ha fatto una cosa semplice, mentre la sua maestra parlava, ha preso quel video e ha dato tanti bacini allo schermo.

Ha baciato e ha abbracciato il telefono più e più volte, stringendolo a sé, come se le distanze tra lui e la sua maestra non ci fossero più.

Baciare e abbracciare un telefono, cara ministra, rende l’idea di ciò di cui hanno bisogno i nostri bambini.

Rende l’idea di ciò che è necessario alla scuola.

Ci sono altre maestre che entrano in casa di altri bambini, bambini che fanno i compiti nella stessa stanza in cui dormono i propri genitori.

Ci sono bambini che stanno in pigiama tutto il giorno e insegnanti che vanno avanti nel programma lo stesso dimenticandosi di loro.

Dimenticandosi che la scuola non vale se perdiamo anche solo uno dei nostri bambini o ragazzi.

Non vale, in questo tempo, se ci tiriamo dietro un gruppo di alunni e gli altri restano dove sono.

Non vale per me e non vale per molte colleghe e colleghi che la pensano come me.

Questo tipo di didattica non vale. Può essere un supporto ma nulla di più, non si faccia venire strane idee sul futuro, per risparmiare ancora e di nuovo.

Lo studio è un diritto. Ma lo è per tutti.

Cara ministra, glielo dico ora, proprio adesso, che sono le dieci di sera e il mio telefono ha smesso da poco di ricevere messaggi dai miei bambini e dalle loro famiglie.

In questo tempo io ho un dovere, lo stesso che dovrebbe avere lei e il suo ministero, quel dovere non è la didattica on-line, quel dovere è non perdere nessuno.

E usare ogni modo a nostra disposizione per farlo.

Spesso, quel modo, dovrebbe esserci già dentro al “fare scuola”.

È lo stesso che porta un bambino ad abbracciare e baciare un telefono in cui c’è la sua maestra.

Si chiama affetto, relazione, vicinanza.

Così si apprende. Non esiste altro modo.

Penny

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