Che cosa racconta di sè una donna? Che cosa tiene dentro?

Quella violenza non può essere improvvisa. Non è improvvisa. È una storia di sottomissione.


Una donna che è istruita, che si impegna, che cerca la propria emancipazione, rimane imbrigliata in una relazione di dominio.

Come è possibile?


Ovviamente non ho risposte certe, se non pensare che dietro ai femminicidi ci sia sempre una donna che subisce e si vergogna di raccontare questa storia.

Si vergogna di mostrare ciò che è reale e magari sottile, così sottile da ucciderti un giorno.

Si vergogna perché la violenza dell’uomo sulla donna che sia verbale, psicologica, fisica è ancora un tabù. Un racconto irracontabile.

Un racconto che viene negato così tanto da non poter essere espresso, a volte, neppure a noi stesse.

Scrivono su Repubblica:”…in apparenza una storia tranquilla, felice, come testimoniano le fotografie pubblicate dalla coppia su Facebook...”

Facebook? Di cosa stiamo parlando?

Il mondo nega continuamente che ci sia un problema enorme di gestione dell’affettività maschile, di prevaricazione, di potere. 

Non se ne può più.

Lorena aveva 27 anni, lui l’ha strangolata. Quanta rabbia c’era in quelle mani per stringere, stringere ancora e non fermarsi?

Una rabbia, lo ripeto, che esisteva già.

Eppure anche oggi i giornalisti parlano di attacco d’ira. Di un gesto mai immaginato. Di una coppia che stava insieme da tre anni e nessuno aveva intuito nulla.

Un amico ha descritto Lorena come una giovane donna oltre che generosa e solare anche con un carattere fortissimo.

Probabilmente Lorena ha fatto quello che ognuna di noi tende a fare, raccontare di sé ciò che è accettabile dal contesto sociale.

La negazione della prevaricazione che sfocia in violenza, non ci permette di essere tratte in salvo. Ognuna di noi lo sa.  A volte da un matrimonio o una relazione infelice, a volte dalla morte.

Penso a Lorena, penso a quello che non ha potuto dire, forse, nemmeno a sé stessa.

Dobbiamo fare in modo che la sofferenza, compresa la nostra, non rimanga sommersa.

Che la cartina tornasole non sia ciò che mostriamo su facebook, perché il mondo ce lo chiede. Non prestiamoci a questo gioco malato.

La società, da sempre, ci chiede un amore. Una maternità. Una storia in apparenza felice. Ci colloca in un luogo preciso.

In qualche modo ci chiede di tacere facendoci sentire rimpicoglioni, esagerate o donne fortunate solo perché abbiamo accanto un uomo. 

Il mondo non è in grado di reggere la violenza maschile. Altrimenti i giornalisti non scriverebbero, proprio ieri sulla storia di Lorena di rompicapo e di giallo!

Si chiama femminicidio, lo ripeto, nessun giallo.

Bisogna che ogni giovane donna trovi un’altra donna a cui raccontare l’irracontabile senza sentirsi sbagliata o provare vergogna.

Smettiamola di pensare che sia normale un certo tipo di atteggiamento maschile, ad esempio che la gelosia sia dimostrazione d’amore.

Quando un uomo ama non prevarica ( dalla richiesta del piatto in tavola, ai musi, alla sberla, se non si fa come dice lui). Non pretende. Condivide responsabilità e doveri. Rispetta.

Lascia libere.

Chi deve provare vergogna è quel ragazzo che ha stretto le mani intorno al collo di Lorena fino a toglierle la vita.

Quel ragazzo la cui rabbia era sicuramente dentro ai giorni ed era giustificata dalla società, perché lui è un uomo e la rabbia agli uomini è concessa, spesso, considerata dimostrazione di virilità.

Giustificata anche dopo la morte di Lorena da quelle due paroline incise su carta stampata: scatto d’ira.

Lorena voleva diventare una Pediatra. Occuparsi dei più piccoli. Vorrei ricordare questo di lei.

Ricordare che dobbiamo far saltare il tappo e dobbiamo farlo noi, urlando, sussurrando, bussando di porta in porta, tramandando come se fosse una ricetta, ogni volta che possiamo, che la prevaricazione non è normalità e se c’è prevaricazione bisogna denunciare e andarsene.

Non è normale avere 27 anni, un sogno quasi raggiunto e conquistato con fatica e morire così come Lorena, come le altre.

E allora, per lei e per tutte le altre donne, non dimentichiamoci di iniziare a raccontare la verità.

Ribaltiamo il ribaltabile, non vergognamoci, chiamiamo i centri antiviolenza ( 1522), parliamo con le amiche, allontaniamoci con urgenza da chi ci fa del male.

Penny

PS:iniziamo da qui, scrivete a Facebook. Fate chiudere questa pagina.

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