Ieri e stata una pessima giornata. Esame di maturità classica in attesa.

Lei, verso le cinque del pomeriggio, è entrata in crisi. Ha iniziato a piangere e a dirmi: mi manca l’aria.

Parlava a raffica, era rossa in volto. “Esci sotto al portone con Alaska” le ho suggerito “solo cinque minuti” ma lei non mi ascoltava nemmeno.

“Lasciami sfogare”, mi ha quasi urlato e così ho fatto.

Ero in cucina, seduta al tavolo. Ho chiuso il tablet e mi sono fermata.

Non lo capiscono i prof., non lo capiscono che è difficile, non è come essere a scuola, tutto è diverso. Il carico di lavoro è ingestibile. Mi sembra di impazzire. Facciamo lezione fino alle 2, tra una lezione e l’altra magari ci sono 20 minuti di pausa e in quel tempo non riesco a studiare le materie per il giorno dopo. I prof a volte parlano per due ore consecutive, non è come a scuola che li guardi in faccia, puoi chiedere spiegazioni e interrompere la lezione. In due ore spiegano il doppio rispetto a quando siamo in classe e il doppio è quello che abbiamo da studiare! Mi sembrava di farcela mamma, di essere cresciuta anche nell’ organizzazione dello studio, ma ora faccio di nuovo fatica. Abbiamo le interrogazioni e poi una marea di ricerche per la prossima settimana, non danno voto, ma guardano l’impegno e allora devo farle con criterio. Ma non ci pensano mamma che abbiamo paura? Ci pensano che muoiono le persone intorno a noi? Io ci penso. Che il lavoro è raddoppiato? Che il futuro è un’incognita spaventosa? Ma si parlano mamma? Si raccontano quello che ognuno di loro ci chiede di fare? Ci pensano che non era immaginabile per noi una situazione così? Che non usciamo da un mese e l’ansia ogni tanto ci arriva improvvisa?”.

Non credo si aspettasse una risposta. Credo che avesse bisogno di buttare fuori e di essere capita.

E io la capivo, eccome se la capivo e gliel’ho detto. Io che sono una maestra elementare devo stare attenta a non farmi prendere dall’ansia di infilare materiale su materiale, in questa macchina della didattica a distanza che risucchia tutto e non perdere mai di vista neanche per un momento chi c’è dall’altra parte.

“Non so bene come aiutarti” le ho risposto cercando di calmarla “l’unica cosa che posso dirti è di parlarne fra di voi e portare le vostre esigenze ai professori, non posso farlo io”.

“Lo so” mi ha risposto “non lo vorrei nemmeno. Lo so” ha ripetuto e si è chiusa in camera.

La sera non ha voluto mangiare e non riusciva a prendere sonno.

Mi sono sentita impotente, tanto impotente, ma sapevo che non c’era molto da fare.

Esserci, forse basta. Forse.

Non ho garanzie, eppure, mentre parlava la vedevo oltre i suoi diciott’anni, oltre quell’esame, oltre la didattica a distanza, oltre questi giorni.

Dentro a un futuro che terrorizza gli adulti e loro non lo sono ancora.

Sentivo la sua paura e la sua angoscia e nello stesso tempo un atteggiamento di ascolto rispetto a sé stessa e al mondo.

Abbiamo lasciato che passasse quell’angoscia, oggi è andata meglio. Non le ho chiesto se ha parlato con i professori. Non mi interessa.

Mi interessa che affronti e che stia bene.

Chissà se i prof. lo sanno. Se questo fa parte dell’esame serio di cui continua a parlare il Ministero.

Chissà se i nostri ragazzi staranno bene.

Questo dovrebbe interessare a tutti, nulla più. Questo interessa a me che sono sua madre.

Penny

https://www.repubblica.it/scuola/2020/04/02/news/maturita_-252977713/?ref=RHPPTP-BH-I252983411-C12-P1-S1.8-T1

Rispondi