La verità è che vorrei uscire. E di brutto pure.

Vorrei farmi un caffè al bar e mangiarmi e una brioches piena zeppa di crema o pistacchio o nutella, mi sporcherei pure.

Credo saluterei tutti e stringerei mani. Potrei sedermi persino nel tavolo di un altro e fare due chiacchiere.
Come stai?
Io bene e tu.
E forse mi importerebbe davvero se sta bene.


Sorriderei, questo è sicuro. Sempre o quasi. O per lo meno quando passeggio per strada e incontro gli amici.


Adesso, in quarantena, passo da mia madre ( abita vicino a casa mia!) e la saluto dalla finestra. Mi manca poterla abbracciare almeno un po’.


Passo da mia sorella per una stradina pedonale bellissima ( sempre vicino a casa mia) con Alaska, la lascio libera, è piena di glicine, c’è un albero che ha un tronco intrecciato arrampicato su una parete di una casetta a due piani. Respiro bellezza, perché ne ho tanto bisogno.


Non ho bisogno, invece, di video lezioni di ginnastica e digiuni propinati ovunque! Ci manca ancora in quarantena di dover rinunciare al cibo o al bicchiere di vino la sera, siamo pazzi!

Mi infastidiscono da morire e appena ne vedo uno spaccherei il telefono, altroché! Di solito sono donne ( fighe) che si rivolgono ad altre donne, quelle come me. Li vuoi i glutei scolpiti? Addominali da urlo?


Quante volte ci ho creduto? Quante volte ci ho sperato? Quante volte?
Ora non voglio più, non voglio più, la consapevolezza mi ha portato a capire che quei messaggi sono rivolti soprattutto a noi. È una specie di ribellione, la mia, di genere.


Ci bombardano da sempre con questa immagine della figa, un incrocio tra Cenerentola e Belen, a seconda delle necessità.


Io ho bisogno di bellezza. Di guardare lontano. Di respirare a lungo. Di poter fare un bagno in mare. Di strade pulite. Di verde. Fronde che si muovono. Sole che mi tocca.

Ho bisogno di vedere i bambini giocare. I barconi salvati. I nonni perduti dentro alle memorie dei figli. Ho bisogno di sentire il mio corpo abbracciato e toccato da quello di un altro.

Ho bisogno di pensarmi a scuola in mezzo ai bambini quando spalancano la bocca e gli occhi si fanno di meraviglia.

Di curare ginocchia e dare bacini quando muore  un nonno. Invece, un bambino ieri ha scritto a noi maestre, ha scritto che era la giornata più triste di tutta la sua vita e io gli potuto mandare solo un messaggio vocale.

Se fossimo stati a scuola l’avrei abbracciato e stretto a me, lo avrei rassicurato e gli avrei permesso di viversi tutta la sua tristezza.

Ne avremmo parlato insieme e i suoi compagni lo avrebbero consolato.

Invece, nella video lezione di ieri non ha detto una parola. E io e le mie colleghe avremmo sfondato lo schermo, lo so.


Non c’è bellezza, mi spiace dirlo, io non la trovo. Le video lezioni sono quello che c’è ma non quello che serve.

Ci provo Dio sa se ci provo. Mi convinco e autoconvinco, cerco di tirare su le mie ragazze quando mi dicono: non ce la faccio più!

Infondo coraggio, anche ai miei alunni e alle loro madri con cui finita tutta questa storia credo mi farò un aperitivo. Non è professionale? Pazienza. Vince la vicinanza. Sempre.


Tengo alto il morale, pure il mio, poi la notte mi sogno di morire.


Ho bisogno di bellezza e non la vedo in un corpo con addominali scolpiti che non sarà mai il mio o in una spiaggia con il plexiglass, mi spiace. Lo so, lo so, l’economia e avete pure ragione.

Ma io la vedo nei sorrisi dei bambini e nel nostro abbraccio. La vedo negli occhi dentro agli occhi. Nei corpi diversi per colore e forma che si stanno vicini. La vedo nella scuola, pareti colorate e pappagalli alle finestre. La vedo nelle braccia di una maestra che consola un suo bambino per la perdita di un nonno. La vedo nelle voci dei compagni che gli fanno forza.


Ho bisogno di bellezza e tanta.

Adesso mi è più chiaro dove cercarla. Spero tanto di non dimenticarlo.

Penny

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