Inizia con il rosa che si colloca su di noi, ancora nella pancia. Una bambola spunta come dono prezioso. Castelli e fate, draghi sconfitti dal principi.

Eccoci: inermi in mezzo al pericolo.

Storie semplici intrise nelle nostre coperte, rimboccate ogni sera. Fiocchetti, paillettes nelle calze, nelle scarpe, nelle magliette.

Una Barbie da vestire e svestire come occupazione.

È una bambina così sensibile, il passaggio è un attimo. E i sentimenti diventano la nostra specialità.

La rabbia viene concessa in un’altra vita. Le aspirazioni pure.

Dalle bambine è questo che ci si aspetta e non mi stancherò mai di ripeterlo. Come possiamo essere libere di desiderare davvero?

Dovrebbero disintossicarci, dovremmo disintossicarci.

Ed è così che le ragazze pensano di non essere belle, attendono ai bordi del campo di calcio che i loro maschi finiscano di giocare, attendono il like su Instagram, si occupano dell’aspetto fisico come un’ossessione da cui non riescono a sottrarsi.

Sono diligenti e brave a scuola. Alcune finiscono schiacciate dal peso delle richieste sociali e si ammalano, altre si adeguano; chi esce dalla gabbia e libera il suo cuore fa sforzi immani su se stessa.

Dov’è finita la loro e la nostra rabbia? Perché anche questo è uno dei problemi. La rabbia che non ci è stata concessa quando desideravamo qualcosa. I capricci, la forza di non adattarsi.

I maschi sono più faticosi, si sente dire. E certo, quell’essere faticosi gli viene concesso, così come la libertà di fare i matti, a volte e di essere scalmanati, altre.

Non sono liberi di esprimere le parti femminili che contengono, ma si avvicinano di più a loro stessi, perché il mondo parla al maschile, vive al maschile, respira al maschile.

Tirare fuori il nostro cuore dalla gabbia e ricollocarlo dentro a ciò che desideriamo è difficile, la nostra strada è stata tracciata da tempo, prima di noi.

Tracciata in ogni attimo. Da te non me lo aspetto. Sii gentile ed educata. Sii carina. Comportati da signorina.

E noi siamo cresciute nello sforzo di non deludere.

Società, genitori, insegnanti, mariti, fidanzati, compagni. E loro non si aspettano un ribaltamento delle regole, per questo, i mariti, spesso, parlano di “abbandono” quando ci si separa. Non sono preparati a quel Noi che si ribella.

Ci hanno vissute a basso profilo, così ci è stato insegnato. E vorrei non lo dimenticassimo, per le figlie che stiamo crescendo e per quella rabbia di cui dovremmo riappropriarci per aspirare davvero.

Quella rabbia è qualcosa di sano, ciò che ci permette di trovare le chiavi della gabbia nelle tasche e liberarci.

E non importa se gli uomini, il mondo maschile o le altre donne non ci capiscono, non importa, ciò che dobbiamo fare è disintossicarci dalla storia narrata e costruirne una nuova in cui le bambine possano arrabbiarsi, muoversi, sporcarsi, aspirare, essere leader senza che tale lemma ci appaia come una parolaccia.

E, questo, non vuole dire essere come certi maschi e perdere la nostra parte femminile; chi definisce cosa sia maschile e femminile? E perché a noi, spetta, per natura la sensibilità e la cura?

Caso mai quella cura e sensibilità dovrebbe essere parte dell’essere umano in quanto persona e, allora, questo discorso con la femminilità non c’entra nulla.

Fare il salto è difficile, vuol dire destrutturare i pensieri e renderli autonomi dal contesto che ci bombarda su quello che è il femminile, su ciò che dobbiamo essere o non essere per avere il rispetto è l’accettazione della società.

La strada è lunga, qualcuno deve aiutare le nostre bambine e le nostre ragazze in questo camminino di ribellione. Perché di questo si tratta.

Ricordare a loro e a noi stesse che le chiavi sono nelle nostre tasche, basta tirarle fuori e aprire. E che il mondo maschile inorridisca e pensi che non siamo abbastanza “femmine” da restare al nostro posto.

Però, per Dio, non pensiamolo noi. Perché, se vogliamo davvero capire quali sono i nostri desideri, dobbiamo essere libere e non lo siamo ancora.

Quella storia è la nostra storia di bambine.

Penny

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