Sapete cosa vi dico? A me questa vita senza consumi un po’ mi piaceva.

Ogni giorno mi sforzo di uscire e allontanarmi dagli spazi che ho attraversato in questi ultimi mesi. Lo faccio per me e lo faccio per le mie figlie, risparmio parole, che a volte con i ragazzi non servono, e cerco di agire, perché capiscano di poter ricominciare.

Così, mi rimetto in moto, chiamo il commercialista, cerco il numero del parrucchiere, mi avvicino al centro e guardo i negozi. Mi sono comprata un gelato: una gioia infinita.

Ho preso il caffè al bar e l’ho pagato come prima. Ho ringraziato il barista.

Metti e sposta mascherina. Mi guardo intorno un po’ come mi sentissi ancora un’aliena.

Osservo le vetrine, mi servirebbero delle scarpe, vedo una maglia bellissima, poi una gonna. Prezzi inavvicinabili.

La verità è che inizio a desiderare qualcosa di cui non ho avuto bisogno in questi mesi e devo dire che mi sono sentita, da un certo punto di vista, più libera.

I capelli non erano a posto ma nemmeno quelli degli altri e dentro a quell’ essere arruffata, alla fine, ci stavo comoda. Però, l’economia deve girare, quindi dovrei dare il mio contributo, eppure ancora non ci riesco.

Non riesco a rinunciare a questa parte di me libera dal bisogno degli oggetti, dello specchio, del…quello mi manca.

Così vago e osservo cercando di capire cosa resterà e cosa di me andrà via. E non so sarò migliore o peggiore, forse solo diversa, perché le esperienze come questa ti cambiano. Cambia la prospettiva e il senso del tempo. Almeno per me è stato così.

Quando ci vedremo a scuola vi strizzo, ho detto ieri in video lezione ai miei bambini. Ci sono cose importanti, come la vicinanza, così data per scontata.

Vede che le persone stanno riprendendo il corso della loro esistenza e ci provo anch’io, il silenzio sotto casa non c’è più, il campetto, territorio canino è pieno zeppo di giovani ragazzi, i parcheggi sono tutti occupati, le gente entra ed esce dai negozi.

È che io non voglio dimenticare. Non voglio dimenticare i morti, le bare sui mezzi militari, le morti in solitudine, non voglio dimenticare i medici, gli infermieri e tutti quelli che hanno lavorato come pazzi, non voglio dimenticare che la Sanità e la Scuola devono essere pubbliche e “per tutti”, che vanno potenziate e rese dignitose dagli investimenti.

Non voglio dimenticare che c’è una lite in corso tra i calciatori e le società calcistiche, che sarebbero intenzionate a ridurre i compensi del 15%, visto lo stop per il Coronavirus. Mi viene da vomitare pensando al giro di soldi, ai loro stipendi e a quelli di un nostro medico, di un nostro infermiere, di un nostro docente, per non parlare degli operai. Non si vergogneranno? In un periodo in cui tutta l’Italia fa sacrifici, in cui muoiono i bambini nei cassonetti, ecco cosa ci tocca sentire.

Non voglio dimenticare, anche se mi trascino l’ansia e la paura e spero non lo facciano tutti i mei colleghi e le mie colleghe quando dovranno scrivere un giudizio o un voto, che si ricordino bene le case in cui siamo entrati e quello che abbiamo potuto vedere sulle storie dei nostri alunni.

Non voglio dimenticare la pelle che mi cade, ho avuto modo in questo tempo di guardarmela bene, il tempo che passa inesorabile per tutti, perché, spesso, è la vita a cadere prima del resto se non facciamo attenzione.

Non voglio dimenticare che la casa è il luogo degli affetti e se gli affetti non ci sono non ci possiamo sentire al sicuro.

Non voglio dimenticare che il populismo è un’invenzione di qualcuno per fare paura e mantenere potere.

Esiste una sola umanità o ci aiutiamo e lo facciamo tenendo dentro tutti o rimaniamo nella merda.

Penny

5 comments on “Quello che non voglio dimenticare.”

  1. Alcune abitudini acquisite non le ho ancora abbandonate. Forse, aspettavano solo un pretesto per venire allo scoperto… ormai sono “mie”.

  2. Un entità invisibile capace di oscurare e trascinare nel buio anima e mente.
    Solo quando tornerà la luce, saremo in grado di capire la differenza tra quello che
    eravamo e ciò che siamo diventati.

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