Ieri mi sono collegata per le tre con uno dei miei gruppi di alunni. Un incubo.

Avevo aperto la stanza e non c’era nessuno, così, ho scritto nel gruppo classe, mi sembrava strano che si fossero tutti dimenticati, infatti, non riuscivano ad entrare, chi era dai nonni, chi da solo, chi con una madre al seguito, cercavano inutilmente di accedere.

A quel punto abbiamo iniziato, individualmente, a comunicare per messaggio:

Entra ora. Non riesco. Riprova. Ti mando il link…è andata.

Sono entrata e uscita un’infinità di volte, c’è voluta la loro tenacia e pazienza per l’attesa, la volontà di restare!

Appena entrata ogni tre per due lo schermo si bloccava. Quindi io parlavo, loro non rispondevano, la rete andava e veniva, facilissimo fare lezione in questo modo!

Mia figlia nell’altra stanza mi gridava di tacere che aveva l’interrogazione di chimica, la sua ultima interrogazione prima dell’esame di maturità, penso le sia persino sfuggita una parolaccia.

“Mettiti le cuffie” mi ha urlato sbattendo la porta. D’altronde anch’io sentivo la mamma di una mia alunna che faceva lezione ai suoi studenti del liceo…

Uno dei bambini, collegato dal telefono, ha esclamato: “Vi sento ma non vi vedo!”.

“Chiama tua mamma” gli ho detto che tra l’altro è la stessa che ha aiutato noi maestre a capirci qualcosa di zoom?.

“È uscita un attimo”.

Mi sarei messa a piangere!? Voglio la tua mamma, ho pensato tra me.

“Ok, butta giù e riprova ad entrare” ho sospirato cercando di non perdere la calma.

Ha smanettato un po’ ma non riusciva nemmeno ad uscire, agli altri, che aspettavano diligentissimi ho detto: “Intanto prendete il quaderno e scrivete la data”.

Alla fine il mio alunno è riuscito ad uscire ma non riusciva ad entrare, così abbiamo iniziato a parlare per telefono mentre gli altri ci aspettavano.

“Aspetta, ti mando la foto di quello che vedo” mi ha detto.

“Aspetta, butto giù, la guardo e ti richiamo” gli ho risposto.

Nel frattempo ho chiamato la mia quindicenne e le ho spiegato il problema, così, ha smanettato qualcosa, gli ha inviato di nuovo il link e lui è riuscito ad entrare.

“Bene!” ho esclamato quando, finalmente, c’erano tutti e cinque “sono sudata”.

Si sono messi a ridere.

“Avete scritto la data?”.

“Sì”.

“Riprendiamo il ripasso sui verbi, vi faccio vedere un video. Ok?”.

Sono partita, ho messo il video e ho chiesto ai bambini di leggere, quando è arrivato il turno di una di loro, lei non mi rispondeva.

“È caduta” mi ha detto un suo compagno.

Ho interrotto il video, sono tornato alla schermata, ho verificato che di lei non ci fosse più traccia e ho mandato il messaggio alla madre.

“È caduta” le ho scritto.

“Sta provando a rientrare” mi ha risposto.

Quando è tornata abbiamo ripreso a fare lezione ( si fa per dire). Ho rimesso il video ma questa volta ho detto: “Leggo io”.

Più o meno siamo riusciti, tra immagini bloccate, batteria scarica, voci in sottofondo a parlare un po’ del verbo avere.

Vi dico la verità: mi sono sentita una cretina e mi sono chiesta il senso di ‘sta roba, se non quella di non vedere l’ora che tutto ciò abbia fine.

Per concludere in bellezza, ogni volta propongo il gioco dell’impiccato. Loro fanno “Sììììììì” alzando le braccia in alto dalla gioia. Quello è il momento più bello, li riconosco, riconosco che sono ancora bambini.

Anche lì, comunque, uno di loro è caduto ( quello dai nonni…poveri NONNI!) e con determinazione provava ad entrare. Lui faceva la richiesta, io lo accettavo ma poi non riuscivamo a vederlo.

Ho provato pena per me che rappresento la Scuola in questo momento.

Mi hanno raccontato che ci sono insegnanti alla primaria che fanno interrogazioni e verifiche a tutto spiano, ad esempio, chiedono: “Dimmi il passato remoto del verbo correre” e se non rispondono o tentennano, sgridano il bambino di turno.

Lo dico sinceramente, nessuna delle mie colleghe, fa nulla del genere. Lo dico sinceramente: mi dissocio, credo sia giusto difendere ciò che è giusto.

In questo caso i bambini chiusi in un sistema allucinante.

Anche in presenza mi sembra assurdo interrogare e mettere voti, ma questa è un’altra storia e magari ne parliamo insieme un’altra volta.

Per ora, aspetto con trepidazione il dieci giugno, anche se mi mancheranno i miei piccoli, ma sento il bisogno di lasciarli liberi da questo delirio che chiamano Scuola.

Liberi, che una corsa a per di fiato, vale più del verbo avere, di questo scempio e di tutto il resto.

Penny

Rispondi