In tutto il mondo, il settantacinque per cento del lavoro non retribuito è svolto da donne; la quantità del tempo dedicata ogni giorno al lavoro va dalle tre alle sei ore, contro una media maschiale che varia da trenta minuti a due ore.

La disparità inizia presto, le bambine di cinque anni sbrigano molte più faccende domestiche dei loro fratelli, aumenta l’età, aumenta il tempo dedicato.

Poi ci chiedono perché siamo così incazzate, poi qualcuno pensa che le cose vadano meglio.

Certo, gli uomini, non tutti, in famiglia si occupano di più di alcuni compiti, ma se ci fate caso, solitamente sono i più gradevoli: intrattenere i figli e cucinare.

Le situazioni in cui gli uomini si occupino di compiti più sgradevoli come passare l’aspirapolvere, lavare per terra, stendere, stirare, pulire sono pochissime.

Per non parlare dell’accudimento legato agli aspetti più personali degli anziani o dei genitori malati.

Comunque, se a livello individuale le cose stanno lentamente cambiando quindi le donne chiedono maggiori condivisione e gli uomini sono disposti a darla- come fosse una concessione- a livello sociale non è così.

La quota di lavoro non retribuito è a carico nostro non degli uomini.

Le donne si sono rassegnate a lavorare più ore, fuori e dentro casa, indipendentemente dal loro contributo proporzionale al bilancio domestico.

Mentre noi donne lavoriamo dentro e fuori casa, sopperendo alla mancanza di azioni politiche dei governi, gli uomini, non tutti, hanno più tempo libero, parliamo della solita partita a calcetto o cose così, solitamente il nostro tempo libero è frammentato, cioè, tra un’incombenza e l’altra. Mentre va la lavatrice mi siedo sul divano e provo a leggere due pagine di quel libro che non riesco a finire.

Il lavoro di cura genitoriale è svolto prevalentemente dalle madri, forse, per questo i giudici in caso di separazione in una corresponsabilità, affidano il tempo maggiore dei figli alle donne, perché, così era anche dentro al matrimonio.

In Italia il sessantuno per cento del lavoro femminile è lavoro non retribuito, mentre la quota maschile si ferma al ventitré.

Noi donne lavoriamo ben più di quaranta ore a settimana e, per questo “servizio” all’uomo e alla società non siamo libere, siamo condannate al lavoro di cura e ci sentiamo responsabili se non facciamo bene quel lavoro. Un lavoro invisibile, scontato, senza retribuzione alcuna.

E così per conciliare nel migliore dei modi il lavoro di cura e le responsabilità di accudimento, noi donne solitamente scegliamo il par-time, diventando più dipendenti dal marito, compagno o uomo, oppure ci accontentiamo di mansioni al di sotto delle nostre capacità che ci garantiscono la flessibilità di cui abbiamo bisogno.

E arriviamo sempre lì, chiudiamo nel cassetto le nostre aspirazioni e se proviamo a tirarle fuori siamo delle ingrate o abbiamo perso la testa.

Chi ha figli sa che non ha scelta, deve adeguarsi al sistema se non li vuole abbandonare all’incuria.

Qui c’è tutto il ricatto.

Poi si chiedono perché siamo così incazzate. Poi ci dicono, quasi con un’aria di sufficienza: “Dai, su, in fondo le cose vanno meglio!”e qualcuna di noi si convince pure, magari, riportando la storia dei padri che oggi cambiano i pannolini.

Dipende da noi? Sì, il cambiamento dipende da noi, anche, soprattutto, dalle scelte quotidiane di ognuna di noi. Da quel tempo dedicato, muto, gratuito, silenzioso in cui ci pieghiamo la schiena mentre lo stomaco si attorciglia su se stesso e manco capiamo il perché.

Questo non capire il perché, però, non è colpa nostra, ma della consuetudine, quella normalizzazione della norma ( scusate il rigiro di parole), quel: così si fa da sempre.

Lo stato sociale se ne approfitta, gli uomini che ci stanno dentro pure.

Bene, sappiate che più sarete consapevoli, più sarete incazzate. Non ci sono altre strade. E quella rabbia ha un nome: ingiustizia.

E se qualcuno vi dirà: ma gli uomini e le donne sono diversi, hanno attitudini diverse e compiti diversi! Perché, così succede tutte le volte che si prova a dire che la parità di genere non è stata ancora raggiunta, voi saprete cosa dire.

Siamo diversi, giusto, ma sul piano dei diritti dovremmo essere uguali.

Verità semplice e scomoda.

Io la porto in tasca, anche se fa male, anche se mi fa sentire sola, a volte, ma è questa rabbia mi permette di tenere bene in vista le mie aspirazioni e di non farle marcire in un cassetto insieme alle mutande, magari nemmeno le mie.

Poi ci chiedono perché siamo incazzate. E se perdiamo le staffe in una difesa semi agguerrita sgranano gli occhi sconvolti dalla perdita del controllo.

Stamattina va così, perdonatemi, ma vaffanculo!

Più leggo, approfondisco, più mi incazzo perché ciò che sentivo era giusto e, per tanto tempo, mi hanno fatto credere che non fosse così.

Penny

Rispondi