Ci sono madri che non ce la fanno. Madri che non sono capaci e non perché sono cattive, forse, a volte capita. Ma dove nasce la cattiveria se non dall’averla vista e subita sulla propria pelle?

Ci sono madri che non ce la fanno, appunto, magari riescono a malapena a sopravvivere e decido che “affidare” il loro bambino sia l’unica scelta possibile.

Sarebbe stato bellissimo aiutare, prima, quella madre e quel padre che hanno affidato il proprio bambino, ma non è successo, non ne siamo stati capaci.

La scelta, però, quella scelta io credo non vada giudicata e, credo che vada rispettata.

Credere nella maternità vuol dire anche questo, accettare che venga vissuta come possiamo e raccontare la verità.

Sono madri, le donne adottive. A volte, un figlio è amato dalla donna che lo mette al mondo e da quella che lo accoglie. Sono maternità entrambe. Un filo sottile le lega.

E, allora, come mi ha scritto stamattina una cara donna: più cullette termiche, più chiese aperte, più preti capaci di sentire, più ospedali pronti a presidiare il territorio.

Poi, c’è un altro discorso da non dimenticare intorno alla maternità.

Noi, le donne, e gli uomini che si chiamano dentro, dobbiamo continuare a lavorare affinché sia considerata dai governi una risorsa e se ne faccia carico.

Vi faccio un esempio di politica sui congedi per maternità: “Accortasi che il tasso di licenziamento delle dipendenti appena diventate madri era doppio rispetto a quello degli altri stipendiati, i dirigenti di Google hanno immediatamente potenziato il congedo per maternità, portando da tre mesi con stipendio ridotto a cinque mesi con il 100% dello stipendio: il tasso di logoramento si è dimezzato all’istante”…

E ancora un altro esempio di buone pratiche: “Alle lavoratrici boliviane viene accreditato un anno di contributi per ogni figlio, fino ad un massimo di tre. Si è inoltre scoperto che l’introduzione di crediti pensionistici al favore del genitore che ha la responsabilità primaria dei figli incentiva ad assumersi una quota maggiore di lavoro di accudimento”. Da “Invisibili” di Caroline Criado Perez

Ecco, cosa dovremmo fare, pensarci sempre a questa maternità, soprattutto fare scelte politiche ed economiche di “sostegno”. Invece, alle donne è richiesto di fare figli, ma se lavorano e li fanno hanno il marchio di scansafatiche.

Creare servizi, come asili nido per tutti, aumentare i consultori, a cui le donne possano rivolgersi in caso di difficoltà, non tagliarli come invece accade, e incentivare le aziende che attuano politiche di sostegno alla maternità, sarebbe un grande passo in avanti.

È uno sbaglio dare un giudizio sulla scelta dei genitori del piccolo LUIGI, l’unica cosa che dovremmo fare è metterci all’opera, se questi genitori sono arrivati a prendere de quella decisione è perché manca tutta la parte di sostegno alle famiglie, in modo particolare, alla donna.

E poi, ci vorrebbe una culla termica in ogni città, ma che dico, in ogni quartiere che garantisse l’anonimato e desse la possibilità di salvare il proprio bambino. Creare percorsi di adozione più fluidi in modo che quel filo tra la madre naturale e quella adottiva sia cortissimo e quel figlio possa trovare subito un luogo in cui essere accolto.

Un figlio è colui che si ama. Lo ama la madre che lo tiene per nove mesi nella pancia alla stesso modo di quella che lo accoglie.

Chi è madre non siamo noi a doverlo stabilire, noi dobbiamo fare in modo che qualunque maternità esista, sia l’una che l’altra, possa sentirsi sostenuta nelle relative scelte.

Lavoriamo per costruire ponti.

Penny

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