Discutiamo, lo facciamo sempre, non so se dipende dal fatto che in casa siamo tre femmine. Non so se il fatto di raccontare di me, limiti, difetti e ossessioni aiuti le mie figlie a esprimere ciò che sentono.

Il limite di un genitore è sempre sottilissimo, perché se da una parte è importante che i figli raccontino e buttino fuori, dall’altra, dovrebbero imparare a non “strabordare”, tenere per sé e risolvere. Insomma scindersi da noi, costruire la loro identità.

Ritorniamo sul discorso delle risposte da non dare. Ma quanto è difficile stare in equilibrio? Dire e non dire? Esserci e non esserci? Presenza e assenza?

Ogni profeta prefetizzante dice la sua. Io so che non ci sono regole certe, quello che va bene oggi, domani è un disastro, quello che un giorno sostiene il giorno dopo affonda.

Tu sei lì, guardi la tua vita come se fossi dentro ad una boccia di vetro e pensi: che cosa cazzo devo fare?

Io sbaglio. Ieri ho chiesto scusa ad entrambe le mie figlie, con le loro risposte ferme e pacate che mi hanno fatto tornare alla ragione, anche lì, non dovrebbe essere il contrario? Sono io che dovrei farle ragionare.

Invece, a volte, accade che i figli siano educanti. Anche questo per i profeti prefetizzanti grande errore, ma se c’è una cosa che la maternità mi ha insegnato è a non fare nozionismo, a non trasformare le vittorie educative in assiomi o verità assolute.

Tutto è in discussione costantemente, a testa in giù sull’altalena.

Ci siamo promesse, l’altro ieri ( dopo una discussione lunghissima, giorni complicati questi) di deluderci per sempre.

Rimanere dentro a una soglia di possibile “non risposta alle aspettative”.

Non siamo sullo stesso piano, sia chiaro, la mia, come madre, è una posizione di potere, questo lo sappiamo tutte e tre, di cui devo cercare di non abusare, ovviamente. Un po’ però sì, a volte, questo potere me lo godo, del tipo: lo so perché sono tua madre!

Cazzata!, non so un bel niente, spesso improvviso, ma funziona. Lì per lì. Anche di questo sono consapevole.

C’è una cosa, però, che nella nostra storia fa la differenza e qui, qualcuno mi lancerà i pomodori, quello che mi salva dalla maternità compressa è pensare in primo luogo a me stessa.

Insomma, non mi tolgo il pane di bocca, mi colloco al primo posto sulla scala dei valori, mi posiziono in alto nelle scelte e questo, miracolo dei miracoli, funziona.

Funziona perché le mie figlie sanno che sono felice o infelice e questi sentimenti non dipendono da loro, da quanto mi hanno deluso o no, da quanto rispondono alle mie aspettative o no, da quanto sono brave o belle o il mio orgoglio o meno.

No, la mia felicità e infelicità dipende da me. E, questo, credo sia un gran sollievo per un figlio.

Quindi, sono “egoista” (e qui altri pomodori), parola inconcepibile da affiancare ad una buona maternità, eppure, così mi accade. E tutte le volte che riesco a non far vorticare il mio mondo intorno a loro ( attenzione, non vuol dire che non mi occupo delle mie ragazze) stiamo tutte e tre bene.

E le cose ritornano al loro posto.

Ho imparato che ciò che sento è ciò che solitamente funziona, penso dovrebbe valere per tutte le madri. Ciò che mi fa stare bene è ciò che va perseguito, sempre, nel rispetto dell’altro.

Ci lasciassero crescere i nostri figli, senza dirci quello che dobbiamo fare ( tra l’altro, spesso, i profeti profetizzanti sono uomini che non ne sanno un fico secco di maternità), staremmo tutti meglio.

Insomma, ad una maternità dedita, io preferisco una maternità felice in cui ci deve essere lo spazio di pensiero e di azione per me.

Insomma, come si dice? Io valgo. La scelta ardua e complicata di mettermi al centro e scegliere la mia felicità, le lascia libere di capire come trovare la loro, invece, di incastrarci tutte e tre sulla stessa altalena della vita, perché, ognuna di noi ha diritto a dondolarsi sulla propria come meglio crede.

Penny

Penny

3 comments on “I figli educanti. Maternità dedita o felice?”

  1. Tu al centro di tutto, per il tuo bene e QUINDI anche per il loro: un concetto sacrosanto eppure non scontato, che sposo pienamente! ritagliarsi tempo per sè, per il proprio benessere psicofisico, è un regalo che non si fa solo a sé stessi ma anche agli altri. Personalmente ci ho messo un po’, a far mio il concetto ma adesso, al cospetto di una giovane erede tutto sommato felice, serena, appagata…mio per sempre 🙂

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