Lei si chiama Alaska. Il nome lo aveva già quando ci siamo conosciute e glielo abbiamo lasciato.

Si chiama Alaska ma potrebbe chiamarsi Bella, Rita, Lola, Nina, Boss, Rasta o qualsiasi altro nome.

La sua fedeltà è indiscussa.

Ama rotolarsi nella cacca di mucca o di cavallo, per lei è indifferente. È sempre sporca, perché, gioca e razzola a pancia i su, si gode la vita, ma noi ce lo siamo detti: meglio un cane sporco ma felice.

Si avvicina agli umani e agli altri cani con fiducia.

Ha capito bene come funziona la serenità e la pace: se ringhiano semplicemente si allontana.

Difende il suo territorio solo in spazi chiusi, per il resto non abbaia mai, il suo ringhio è davvero poco convincente.

Ringhia per lo più agli estintori e ai carrelli della spesa.

Le abbiamo insegnato, dove si può, a stare libera, ad andare incontro agli altri. I cani perennemente al guinzaglio, tirati via dal padrone come se qualsiasi altra bestia non fosse degna mi fanno venire il voltastomaco.

Il cane, come credo qualsiasi altro animale, ha bisogno di tempo e di cura.

Possiamo prenderlo per soddisfare i nostri bisogni, tipo le coccole sul divano e non farlo mai scorrazzare oppure decidere che ascoltiamo pure i suoi di bisogno, ne ha e sono chiari. Come quello di muoversi all’aria aperta o di camminare.

Alaska ieri ha rincorso l’ombra delle farfalle per tutto il giorno, non ne ha acchiappata mezza, alcuni uomini dovrebbero imparare da lei come superare il senso di frustrazione senza farsi abbattere.

La sera, però, si è pappata un grillo.

È femminista, io ne sono sicura, perché lei non fa distinzione, i cani sono cani, e annusa e strofina o mordicchia zampette sia i maschi che le femmine. Ama tutti.

Alaska è un cane condiviso. Di una famiglia allargata stranamente. Di giorno sta con me e le mie due figlie, di sera dorme con il mio compagno e i suoi due figli. Attraversa pure lei come me il tetto.

Quando dormo dal mio compagno si mette in posizione strategica e controlla entrambi.

Poi è successo che Io e il mio compagno siamo andati via, Alaska è rimasto con la sua ex moglie.

Prima di lasciarla ho messo in chiaro che questa volta era lei la “matrigna” ?. Ad ogni modo ha mangiato le scarpe ad entrambe e non so dirvi come e perché ma dopo dieci anni, un mese fa, abbiamo convissuto nella stessa stanza per una cena, ci siamo parlate e mi ha concesso il primo sorriso.

Alaska ama gli adolescenti, girandone in casa molti, appena ne vede uno crede che sia suo e gli compatta dietro.

Appena può lecca i polpacci, mi ha messo in imbarazzo parecchie volte con ‘sta fissa.

Cerca il sole, sempre.

È tenace, anche per questo credo sia femminista, quando non vuole fare una cosa, tipo salire in macchina, si nasconde e non la becchi.

Io con lei mi sento in colpa, come con le mie figlie, ovviamente l’intensità è minore, credo sia quel problema di devozione che ci portiamo dietro, qui, ci devo ancora lavorare.

Non ha la parola. Ma il suo silenzio è potente.

Mi chiedo, spesso, se sogna ma io credo di sì perché mentre dorme, a volte, mugola.

Inutile dire che sento il bisogno di prendermene cura. È un impegno ma, a volte, gli impegni procurano risultati di felicità.

Noi stiamo bene e non so proprio come si faccia ad abbandonare un animale o a “ridarlo indietro” come se fosse un oggetto.

Lei cammina avanti a noi, libera nei sentieri, acchiappa ombre di farfalle e si concentra, poi, ogni tanto torna indietro per vedere se ci siamo.

Un po’ come i figli.

Sono quasi convinta che il rapporto con i cani e quello umano, non sia così differente.

È differente la loro fedeltà. È questo noi non dovremmo dimenticarlo mai. Ci donano più di quello che diamo.

Un cane insegna l’amore. Non più di un umano, quello non lo penso assolutamente, siamo su due piani differenti, ci insegna ad amare la vita ed è palestra di umanità.

Penny

Ps: non abbandonateli. Trovate soluzioni. Ci sono..

https://www.youtube.com/watch?v=cTRM1HeGUS4&feature=share

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